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Copywriting, psicologia e persuasione: 7 consigli di scrittura per convincere

Copywriting, psicologia e persuasione: 7 consigli di scrittura per convincere

Le decisioni di acquisto si fondano su componenti emozionali. È per questo motivo che è utile comprendere il funzionamento di quelle leve psicologiche su cui si basa il copywriting persuasivo

Il bravo copywriter deve conoscere la psicologia che sta alla base del processo di acquisto.

Questo perché, come ho spiegato nel mio articolo Copywriting, guida alle tecniche di scrittura e alle parole che convincono il processo di acquisto ha in sé molteplici componenti emozionali.

Il concetto di leve psicologiche del copywriting deriva da Joe Sugarman (psycological triggers), indiscusso maestro del copywriting persuasivo, e racchiude tutte quelle tecniche che il buon copywriter deve saper utilizzare per raggiungere, catturare e convincere il lettore.

Vediamole una per una e proviamo a capire perché funzionano e in che modo permettono di ottenere risultati.

Vedremo poi i principi di Robert Cialdini contenuti in “Le armi della persuasione”, i pilastri del cosiddetto persuasive copywriting.

Il testo, scritto negli anni ’80, si basa su alcuni studi di psicologia sociale essenziali per chiunque si occupi di marketing e pubblicità, in quanto affronta le dinamiche della persuasione e spiega le dinamiche di acquisto.

Le 7 leve psicologiche del copywriting

1. Rendi tuo il problema dei tuoi lettori

I tuoi lettori cercano qualcuno che li ascolti e sappia come risolvere il loro problema. E chi meglio di qualcuno che c’è già passato e che sa come risolverlo?

Mentre scrivi focalizzati sul problema, condividi i disagi in modo empatico e proponi una soluzione. Ricorda che (la citazione è di E.Swartz):

“La diffcoltà più grande nel tuo lavoro è quella di ascoltare. Devi ascoltare più pareri per avere successo. Devi ascoltare prima di tutto i problemi della gente e devi essere in grado di risolverli. Devi conoscere la persona così bene da essere in grado di assomigliargli.”

2. Ferma i pensieri del tuo lettore

Sfida il tuo lettore a ragionare su quello che stai scrivendo, spingilo a trovare una risposta alle tue domande. È il modo migliore per attirare la sua attenzione.

3. Stimola la visualizzazione

Lo sai perché nel marketing si utilizzano molte immagini?

Perché le immagini vengono elaborate dal cervello 60.000 volte più velocemente del testo. 

La comunicazione visiva è quindi più immediata, più semplice da comprendere e da ricordare.

Le immagini riescono a raccontare ciò che con le parole a volte si fatica a comunicare in modo immediato.

Utilizza immagini del tuo prodotto, ma rendilo anche immaginabile in modo credibile: se riuscirai a farlo entrare nella testa del tuo lettore non vi uscirà più.

4. Crea curiosità

Prima di proporre il tuo prodotto inizia con una domanda o con una frase ad effetto, qualcosa che lo induca a continuare a leggere e a concentrarsi su ciò di cui stai parlando.

5. Induci scarsità

Quando proponi un prodotto suggerisci al lettore che deve agire in fretta perché il prodotto sta terminando.

Oppure crea scadenze, offerte limitate o sconti temporanei: la paura di perdere questo vantaggio sarò uno stimolo per spingerlo ad acquistare.

6. Sii preciso

Comunica informazioni precise e concrete sul tuo prodotto. Se possibile utilizza tabelle e dati verificabili: questo ti aiuterà a essere credibile e a ottenere la fiducia del lettore.

7. Racconta una storia

Il potere dello storytelling sta proprio nel riuscire a indurre nell’immedesimazione molto più di altre tecniche di marketing. Le storie favoriscono la connessione tra te e il tuo lettore e incrementano la credibilità.

La bravura di chi sa fare storytelling e proprio quella di costruire una storia intorno al prodotto o servizio che intende proporre. La narrazione che si crea deve stimolare il lato emozionale del lettore in modo da tenerlo incollato al tuo scritto.

Nello storytelling è necessario creare il giusto mix che emoziona il lettore con contenuti coerenti con il valore del tuo prodotto e l’identità della tua azienda.

I brand più famosi comunicano con lo storytelling e il loro messaggio pubblicitario non è mai freddo e standardizzato, anzi, è intriso di componenti emozionali a forte impatto emotivo.

Copywriting e psicologia

Le armi della persuasione: come e perché si finisce col dire di sì

Sono sei i principi che formano quel sistema persuasorio che ci induce a dire sì: coerenza, reciprocità, riprova sociale, autorità, simpatia, scarsità.

Stilati da Robert Cialdini nel testo “Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì” questi sei principi sono ben conosciuti nell’universo psicologico-sociale e rappresentano dei fattori motivazionali molto importanti, elementi portanti del comportamento umano individuale e sociale.

Quali sono dunque quei fattori che inducono una persona a dire di sì alle richieste di un’altra?

Perché una richiesta formulata in un certo modo viene respinta mentre un’altra, identica ma presentata in maniera diversa ottiene il risultato desiderato?

Vediamo insieme e cerchiamo di capire il funzionamento di queste tecniche psicologiche, potenti strumenti motivazionali in mano a un bravo copywriter.

1. Reciprocità

La reciprocità è uno degli strumenti più antichi alla base del commercio: io do qualcosa a te e tu dai qualcosa a me.

I periodi di prova gratuiti, le offerte di campioni, l’accesso a contenuti riservati, i coupon di benvenuto sono tutti classici strumenti che rispondono a questa leva psicologica: a nessuno piace essere in debito.

È infatti comprensibile che quando qualcuno ci fa un favore o ci aiuta, o quando riceviamo qualcosa in regalo, ci sentiamo in obbligo nei confronti di quella persona e desideriamo ricambiare.

È su questo principio che trova fondamento il marketing della gratitudine, un modo nuovo di fare marketing che permette di consolidare le relazioni.

Il principio di reciprocità viene poi molto utilizzato nel marketing on-line quando, ad esempio, in cambio del tuo indirizzo email o una iscrizione alla newsletter ti viene offerto un e-book.

Indirizzi che saranno utilissimi quando inizierai la tua strategia di email marketing per vendere i tuoi prodotti o servizi.

2. Impegno e coerenza

Il principio di impegno e coerenza si utilizza nel funnel dell’inbound marketing, quella sequenza che permette di selezionare i clienti tramite pubblicazioni costanti sul blog aziendale e, gradualmente, fidelizzarli e impegnarli a nostro favore, in modo da chiudere la vendita.

Maggiore sarà il contatto tra te e il tuo potenziale cliente, maggiore sarà la sua volontà di non fare brutta figura con te. Leonardo Da Vinci ci ricorda:

“È più facile resistere all’inizio che alla fine.”

3. Riprova sociale

La riprova sociale è l’importanza che diamo a quello che dicono gli altri. Tendiamo a pensare infatti che “se tante persone svolgono la stessa azione, questa cosa sarà corretta”.

È una scorciatoia cognitiva tipica dell’essere umano, un po’ come il pensiero “ciò che è costoso è per forza buono”.

Questo principio viene molto utilizzato nelle pagine di vendita: le persone tendono a fidarsi delle testimonianze di chi si è trovato nella loro stessa situazione.

Maggiori sono i commenti e le testimonianze positive verso un prodotto, più siamo portati a pensare che quel prodotto sia ottimo ed aumenteranno così le possibilità di acquisto.

Se ci pensi, il successo di TripAdvisor o di Amazon si fonda proprio su questo principio.

4. Simpatia

Come risultare simpatici al nostro lettore? La simpatia è un’arte non semplice da imparare. L’unico vero modo per risultare piacevoli e simpatici quando scriviamo è quello di conoscere bene il target e di usare l’empatia nel modo in cui comunichiamo.

In questo modo, parlando lo stesso linguaggio, è probabile che il lettore si riconosca in ciò che scriviamo.

5. Autorità

L’autorevolezza si crea con lo studio e l’esperienza. Tuttavia, per avere credibilità e proporti come riferimento per chi ti legge esponi dati certi e risultati: solo in questo modo i tuoi potenziali clienti sapranno che non racconti bugie e ti considereranno una persona affidabile.

6. Scarsità ed urgenza

È uno dei principi più utilizzati nel marketing online e offline: dalle televendite al supermercato. La scarsità crea valore e importanza attorno al prodotto di cui stai parlando e induce il cliente ad affrettarsi nel suo processo di acquisto.

Come ho scritto sopra, parlando delle leve psicologiche del copywriting, la scarsità rende il prodotto esclusivo e l’idea di una potenziale perdita gioca un ruolo molto importante nei processi decisionali della mente umana.

Un esempio classico è quello dell’offerta valida per pochi giorni o per un numero limitato, chissà quante volte avrà fatto leva anche su di te.

Una nota citazione ci ricorda che:

“Il modo migliore per amare qualcosa o qualcuno è pensare al fatto che si potrebbe perderlo”.

Penso che la psicologia collegata al marketing permetta degli approfondimenti molto interessanti.

Lo credi anche tu? Fammi sapere cosa ne pensi nei commenti qui sotto.

Testo consigliato per un approfondimento:

  • Robert B. Cialdini, Le Armi della Persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Giunti Editore, 2010

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Articolo scritto nel mese di settembre 2021 e aggiornato nel mese di dicembre 2022

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Da qualche anno tengo Corsi di Comunicazione e scrittura per il web per scuole e privati.

Ho una laurea magistrale in editoria e giornalismo, amo da sempre leggere e andare in montagna, palestra di vita.

Sara Soliman

Copywriter

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Come scrivere (e comunicare) con empatia

Come scrivere (e comunicare) con empatia

L’empatia, nel copywriting e nella comunicazione, ha lo straordinario potere di creare relazioni. Ma si può imparare a scrivere in modo empatico?

Si fa un gran parlare di empatia. Di come comunicare in modo empatico, di come coltivare l’empatia, di come scrivere in modo empatico.

L’empatia è la capacità di entrare in sintonia con le altre persone, di capire il loro stato d’animo e le loro necessità, la loro gioia e il loro dolore.

Ma nella società di oggi, dove tutto corre in fretta e dove abbiamo poco tempo anche per noi stessi, è possibile coltivare l’empatia?

Io credo di sì, ma dobbiamo imparare a rallentare e coltivare l’ascolto.

Come possiamo pensare di essere compresi se noi per primi non ci poniamo in una situazione di ascolto con gli altri?

L’empatia nasce dall’ascolto, dal silenzio, dalla comprensione. 

E dall’esercizio di alcune buone pratiche.

Come coltivare l’empatia

Coltivare l’empatia non è semplice, ma esistono alcune buone pratiche che, se per alcuni corrispondono alla normalità, per molti invece non sono automatiche, abituati come siamo a vedere la vita dal nostro punto di vista.

Per cominciare possiamo allenarci a tenere questi cinque atteggiamenti, come ci consiglia Rick Hanson, che ha scritto un interessantissimo libro sulla resilienza.

1.Dovremmo abituarci prima di tutto a immergerci nella nostra interiorità: la consapevolezza di sé rafforza la consapevolezza degli altri.

2.Alleniamoci ad assumere il punto di vista altrui, prendendo coscienza del fatto che quanto a noi appare evidente e importante potrebbe non esserlo per gli altri. Ognuno è plasmato dall’ambiente in cui vive.

3.Arricchiamo il nostro bagaglio di competenze “culturali” e confrontiamoci con persone di provenienza diversa dalla nostra. Ciò ci aiuterà a diventare consapevoli di preconcetti inconsci che derivano dalla nostra cultura e dunque a diventare più rispettosi dei bisogni altrui.

4.Impariamo a cogliere le micro espressioni dell’altro, a guardarlo negli occhi e a non fermarsi alla superficie, proprio per cogliere le esigenze e le sofferenze che potrebbero celarsi dietro a un atteggiamento aggressivo o che non riusciamo a comprendere.

5.Alleniamoci a formulare ipotesi, che sono la chiave dell’empatia. Questo ci aiuta ad affinare la comprensione. 

Correggere poi le interpretazioni inesatte è importante per raggiungere una comunicazione empatica e dunque più autentica.

Consigli per comunicare e scrivere con empatia

Come comunicare in modo empatico

Riconoscere le emozioni degli altri, e avere la certezza che gli altri riconoscano le nostre, facilita la comunicazione.

Ricorda che:

Se non provi empatia e le tue relazioni personali non sono efficaci, non importa quanto sei intelligente: non arriverai lontano.

(Daniel Goleman)

Ti è mai capitato di parlare con qualcuno e di pensare che quella persona ti capisce all’istante?

Spesso la chiamiamo “sintonia” ma quel che si crea in realtà è comunicazione empatica.

L’ empatia è uno strumento prezioso, forse l’unico, per ottenere fiducia.

Ognuno di noi desidera essere pienamente capito e compreso. Se il nostro interlocutore si sente capito e compreso è normale che vedrà in noi una persona di cui fidarsi e a cui affidarsi.

Una comunicazione efficace fornisce certamente informazioni, dati, notizie e caratteristiche concrete ma comunica anche emozioni.

E quando entrano in gioco le emozioni comunicare anche con il corpo è fondamentale. La comunicazione non verbale comprende l’uso dl corpo, delle mani e l’uso del giusto tono di voce.

Questo perché:

Il messaggio è importante tanto quanto il modo con cui lo si esprime.

Se applichiamo questo concetto al commercio possiamo capire perché, anche se i clienti analizzano e valutano le decisioni di acquisto sulla base di fatti caratteristiche del prodotto, la decisione che spinge all’acquisto è influenzata dalle emozioni che il venditore o il brand dell’azienda riescono a trasmettere.

Anche i nostri collaboratori formano la loro idea su di noi sulla base di fatti e caratteristiche della persona, ma decidono di seguirci e fidarsi di noi in base delle emozioni, ovvero di quell’insieme di sensazioni e sentimenti che spingono ad agire e che generano fiducia.

Per avere una comunicazione più efficace e fare in modo che il tuo messaggio arrivi nel migliore dei modi a clienti e collaboratori, comincia allora mettere un po’ di emozione in quello che dici: usa le mani, muovi il corpo e concentrati anche sul tono di voce.

Come scrivere con empatia

Empatia significa anche saper creare e trasmettere emozioni. Come riuscire a trasmettere emozioni con il copywriting?

Prima di tutto cerca di non essere vago mentre scrivi: comunica concetti precisi, concetti cioè che evocano immagini dettagliate. A tale scopo informati bene e dai tutte le informazioni necessarie e in modo chiaro.

Quando ti è possibile scrivi di cose che ti appassionano e che conosci bene: il tuo testo risulterà più spontaneo e più vero. 

Allenati a non usare verbi all’imperativo. Niente ordini, insomma. Quante volte leggiamo on-line la famosa call-to-action Clicca, Scopri, Acquista?

Per il lettore è molto più coinvolgente essere condotto all’azione in modo più meno aggressivo. Invece di Leggi  utilizza Potresti leggere anche.

Oppure: invece di Acquista la macchina fotografica migliore che c’è sul mercato utilizza Con questa macchina fotografica rivivrai momenti indimenticabili.

In questo modo è come se accompagnassi il lettore, senza forzarlo, a fare la scelta migliore. E in più tocchi il suo lato emotivo.

Inoltre, secondo alcune ricerche di programmazione neuro-linguistica, il nostro cervello dubita di troppa sicurezza e spavalderia e preferisce un approccio più umano e meno infallibile.

Alcuni avverbi che esprimono dubbio quali forse, probabilmente o quasi – contrariamente a quel che si crede – contribuiscono a dare maggiore credibilità al messaggio e dunque a creare fiducia e relazioni.

Altro aspetto importante è quello di utilizzare il giusto tono di voce. E per non sbagliare è necessario conoscere il tuo pubblico di riferimento.

Il tono colloquiale e l’utilizzo del tu è sicuramente il modo migliore per entrare in sintonia con il lettore, ma ciò che conta è riuscire a emozionare. 

Perché si sa, i testi che funzionano meglio sono quelli che emozionano.

 

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Barriere della Comunicazione: impara a riconoscerle e ad evitarle per creare una comunicazione efficace

Barriere della Comunicazione: impara a riconoscerle e ad evitarle per creare una comunicazione efficace

La comunicazione efficace si basa sull’ascolto, sull’accoglienza e sul limitare al minimo le barriere della comunicazione

Le barriere della comunicazione sono modalità che spesso utilizziamo in modo spontaneo, per abitudine o per cultura.

Quando un amico ha un problema spesso accade che cerchiamo di aiutarlo con dei buoni consigli o con dei suggerimenti tratti dalla nostra stessa esperienza. 

Nonostante le buone intenzioni, a volte questi tentativi creano più problemi di quanti ne risolvano e finiscono per ferire l’altra parte e bloccare così la comunicazione spontanea. 

Questi tentativi vengono definiti in psicologia “metodi tradizionali di aiuto” o “barriere della comunicazione”.

Evitare questi comportamenti è difficile, dovremmo però cercare di ridurli al minimo pensando che i modi di ascoltare sono due:
• il primo consiste nell’ascoltare i discorsi dell’altro per metterli al servizio delle proprie tesi e dei propri interessi;
• il secondo consiste nel sentire l’altro, nel cercare di capire “come parla”, nell’andare verso di lui con empatia.

Ma purtroppo il primo modo di ascoltare è il più diffuso, come sostiene lo psicologo americano Barry Schwartz:

“Si ascolta senza veramente sentire; così facendo, ci si protegge dai cambiamenti che un reale ascolto comporterebbe.” 

Sentire e ascoltare: la parola magica è Accoglienza

Ogni volta che utilizziamo questi modi di comunicare dobbiamo renderci conto che mettiamo l’altro in difficoltà e blocchiamo o rendiamo difficile la comunicazione.

Una buona comunicazione interpersonale richiede accoglienza.

Si tende a confondere la dimensione dell’ascolto con la funzione del sentire, trascurando una differenza fondamentale: ascoltare è un processo, sentire è un modo di immedesimarsi. 

L’ascolto riduce stress e tensioni in quanto ci permette di sviluppare relazioni più chiare, autentiche e una comunicazione efficace.

Le barriere comunicative individuate da Thomas Gordon

Di recente, in un libro di psicologia della comunicazione, ho approfondito il tema delle barriere comunicative individuate da Thomas Gordon nel 1974.

Sono 12 modalità di comunicazione errata in quanto rallentano, inibiscono o bloccano il processo comunicativo, creando un senso di sfiducia nell’interlocutore.

Spesso non siamo consapevoli di utilizzare queste modalità, e questo accade quando, involontariamente, ci allontaniamo dalla realtà esistenziale dell’altro.

In questo modo, sottolinea lo psicologo, “blocchiamo il processo di ascolto attivo e concentriamo la nostra attenzione sul nostro punto di vista o su ciò che giudichiamo giusto o sbagliato, anziché restare in contatto con i bisogni, idee, emozioni che l’altro esprime.”

Vediamo insieme quali sono le 12 barriere di Gordon, spiegandole con alcuni esempi.

1) Dare ordini, comandare, esigere

Quando diciamo all’altro: “Devi, bisogna che tu…” gli comunichiamo che i suoi sentimenti, pensieri e comportamenti non sono adeguati. Creiamo una situazione spiacevole di assimetria in quanto lasciamo intendere che chi parla sa cosa sia bene o male per l’altra persona.

2) Minacciare, avvertire, mettere in guardia

Ad esempio: “Se non fai così…”, “ Se continui così…”, sono messaggi simili a quelli precedenti, ma qui le conseguenze sono più esplicite: la minaccia, la punizione. Sono messaggi che suscitano sentimenti di rabbia e ribellione da una parte e dall’altra paura e sottomissione.

La punizione non è mai produttiva, per il semplice motivo che non gratifica. È difficile poi riprendere a comunicare con una persona che si sente umiliata.

3) Moralizzare, rimproverare, fare la predica

“Non ci si comporta così…”,“Sei il solito irresponsabile…”, “Io parlo per il tuo bene…”.

Questi messaggi creano sensi di colpa e costringono la persona a sottostare al potere esercitato da idee e valori dell’altro.

Sono messaggi difficile da contrastare perché spesso “nascosti” da frasi manipolative (lo faccio per te).

In ogni caso comunicano la mancanza di fiducia nel senso di responsabilità.

4) Offrire soluzioni, consigli

Anche quando cerchiamo di dare consigli è necessario fare attenzione.

Quando diciamo: “Secondo me la cosa migliore da fare è…” oppure “ascolta il mio consiglio, ci sono passato anch’io, vedrai che è la cosa migliore anche per te” dovremmo tener conto che inviamo un messaggio di superiorità intellettuale ed emotiva che blocca la comunicazione.

5) Argomentare, redarguire

In una conversazione, quando diciamo: “Sì, però…”, “no, non mi dire che…” tendiamo a provocare misure difensive e contro-argomentazioni da parte di chi ascolta. Anche qui la comunicazione non è più spontanea.

Anche interrompere è un atteggiamento che esprime non ascolto e non comprensione dell’altro, anche se pensiamo di sapere cosa vuole comunicarci o abbiamo fretta di rispondere.

Barriere della Comunicazione individuate da Thomas Gordon

6) Giudicare, valutare, criticare

Il giudizio pone l’altro sulla difensiva e la comunicazione continua in modo negativo, sempre che il soggetto non si allontani.

“Tu sei fondamentalmente egoista …”, “Stai sbagliando tutto …”. Sono messaggi che chiaramente creano una barriera alla comunicazione.

7) Fare apprezzamenti, manifestare compiacimento

È sempre piacevole e gratificante ricevere apprezzamenti, infatti questa è una barriera difficile da individuare.

Allo stesso tempo, il messaggio di “approvazione” che inviamo contiene l’idea implicita che altre scelte le avremmo giudicate sbagliate o non adeguate.

Anche se possono apparire come manifestazione di stima e fiducia, gli apprezzamenti possono apparire come atteggiamenti manipolatori, soprattutto quando si sente la non sincerità (ricordiamoci la potenza del linguaggio non verbale).

8) Ridicolizzare, etichettare

Ecco sei il solito sbadato”, “Ci risiamo”. Queste modalità sono ulteriori aspetti di valutazione negativa e di critica. Sono i classici messaggi che svalutano la persona e non solo il suo comportamento e che possono ferire profondamente.

9) Interpretare, diagnosticare

Interpretare significa cogliere qualcosa di simile a quanto viene detto e di filtrarlo attraverso i nostri significati, le nostre ideologie, il nostro vissuto.

“Penso che in realtà tu non voglia dire questo…” oppure “Io so cosa stai cercando di dire realmente”. L’atteggiamento interpretativo consiste nell’attribuire dunque un nostro significato alle parole dell’interlocutore e non è detto che ciò corrisponda a verità.

Lasciarlo parlare o chiedere chiarimenti è sicuramente una strada migliore per una comunicazione efficace.

10) Rassicurare, consolare

Messaggi come “Non avere paura…”, “Vedrai, tutto si risolverà…”, “Su fatti coraggio, non piangere” sembrerebbero frasi di sostegno. In realtà sono una barriera perché tendono a bloccare l’esperienza che l’altro sta vivendo.

Se una persona è triste o spaventata perché non dovrebbe piangere? Gli psicologi affermano con forza che piangere è salutare.

Spesso rassicurare e consolare è più un’esigenza legata all’incapacità di sostenere l’esperienza dell’altro che non un reale tentativo di vicinanza emotiva. Il meccanismo psicologico è il seguente: Non sopporto il dolore dell’altro/a e lo rassicuro affinché smetta e anch’io possa sentirmi sollevato.

11) Fare domande, investigare, indagare

Chiedere informazioni porta a spostare il colloquio verso una direzione diversa da quella voluta dal nostro interlocutore.

Chi riceve domande insistenti (“ma come mai?”, “ma tu cosa stavi facendo?”, “ma perché eri lì?”) ha la sensazione di essere impegnato a rispondere a un interrogatorio, cosa per nulla piacevole.

Nelle relazioni quotidiane questi messaggi diventano una barriera alla comunicazione, perché il nostro interlocutore in questo modo si sente minacciato, pressato.

E ciò serve solo a far aumentare l’ansia:  il rischio è che reagisca con rabbia.

12) Distrarre, minimizzare

La classica frase: “Non è poi così grave quello che è successo, pensa a chi sta peggio di te” comunica scarso interesse per il nostro interlocutore e per quello che sta tentando di dirci, è una mancanza di attenzione alle priorità e ai sentimenti dell’altro.

Il nostro interlocutore si sente non considerato e non compreso. La comunicazione non sarà più autentica né efficace perché veniamo visti come qualcuno che non comprende e allontana.

Empatia

Ascoltare vuol dire accogliere dentro di sé i problemi dell’altro con empatia

Come migliorare la capacità di ascolto

La nostra capacità di ascolto è legata alla profonda conoscenza dei nostri bisogni e stati d’animo.

Quanto più siamo consapevoli di ciò che ci accade tanto più saremo in grado di distinguere in modo chiaro il nostro vissuto per fare spazio al vissuto dell’altro. 

Un suggerimento può essere quello di soffermarsi, a fine giornata, a pensare agli scambi avuti durante il giorno, a come ci siamo sentiti, a cosa avremmo fatto o detto di diverso. E cercare di capire quali sono i nostri bisogni quando ci relazioniamo con gli altri.

Fermarsi a riflettere sulle nostre reazioni ci aiuta a costruire una piccola mappa di ciò che desideriamo per noi, in modo da poter accogliere in modo aperto e non giudicante anche i bisogni degli altri.

L’ascolto attivo secondo Thomas Gordon

L’ascolto attivo, in quanto opposto all’ascolto passivo (il silenzio), comporta l’interazione con l’altra parte e fa in modo che l’utente abbia delle prove che via sia comprensione.

Ho più volte parlato di comunicazione empatica, che torna fondamentale anche qui, essendo l’unica forma di comunicazione che:

  • dà la chiara percezione di essere stati capiti, accettati e rispettati sia nei sentimenti che nelle idee;
  • ci aiuta ad approfondire la comunicazione;
  • abbassa le tensioni emotive, il senso di minaccia e libera dall’ansia;
  • aiuta ad accettare come naturali ed umani i propri sentimenti e dunque quelli degli altri.

Grazie all’empatia si riesce a entrare nel problema altrui e in questo modo si è sulla buona strada per la sua risoluzione. Tra le due parti si crea un rapporto di fiducia e di rispetto che consolida il rapporto.

L’ascolto attivo proposto da Thomas Gordon funziona perché aiuta chi ha il problema a scaricare le emozioni intense e ad elaborare il suo problema in vista di una soluzione.

Ma cos’è l’ascolto attivo?

L’ascolto attivo è l’abilità che meglio riassume le tre caratteristiche della relazione d’aiuto: empatia, accettazione, autenticità, per facilitare la soluzione del problema da parte della persona.

L’ascolto attivo richiede dunque il mettersi nei panni dell’altro cercando di cogliere i suoi pensieri e sentimenti, per poi esprimergli la nostra comprensione con calore e senza alcun giudizio.

La comunicazione efficace richiede, come abbiamo visto, molte attenzioni e tanta empatia. Io credo che l’empatia sia una forma di sensibilità, tuttavia gli esperti ci insegnano che si può imparare a coltivarla per migliorare le nostre relazioni e creare amicizie autentiche.

Se vuoi saperne di più leggi Perché comunicare con Empatia è uno strumento vincente: dai valore agli altri, valorizzi te stesso e crei fiducia e, se ti fa piacere, fammi sapere cosa ne pensi.

 

Testo di approfondimento:

  • Thomas GordonRelazioni efficaci. Come costruirle. Come non pregiudicarle, La Meridiana Edizioni, 2014

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Articolo di Luglio 2020
Revisione: Agosto 2021

Sara Soliman

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Resilienza: quell’insieme di risorse da coltivare e rafforzare per affrontare la vita con grinta

Resilienza: quell’insieme di risorse da coltivare e rafforzare per affrontare la vita con grinta

Imparare a coltivare un pensiero resiliente è un impegno quotidiano che ci permetterà di diventare persone capaci di reagire e rialzarci di fronte alle avversità

Negli ultimi mesi, la parola resilienza è stata molto cercata nel web, a dimostrazione di quanto se ne parli ma anche di quanto poco la si conosca nel suo significato più profondo.

“Be resilient”, essere resilienti, sembra essere l’imperativo grazie al quale l’Italia potrà rialzarsi dopo la pandemia e che tutti noi dovremo seguire per ricostruire o reinventarci nella nostra vita lavorativa.

Sappiamo bene però che rialzarsi non è questione di sola volontà, come non è una decisione che porta a risultati immediati.

La resilienza ci aiuta a guarire dai traumi, a superare ostacoli e avversità e a perseverare nei nostri obiettivi.

Ma cos’è la resilienza? E come si diventa resilienti?

Certo non da un giorno all’altro. La resilienza è una forza, a patto di riuscire a costruirla dentro noi stessi, con pazienza e umiltà.

Siamo tutti preoccupati per il futuro. Quando le nostre esigenze non vengono soddisfatte siamo feriti e frustrati.

Chi non ha mai provato almeno uno di questi sentimenti?

Ma come possiamo trasformare le nostre paure in una forza propositiva? In resilienza?

Ho letto di recente dei testi interessanti sull’argomento e spero, con questo articolo, di poterti dare dei buoni suggerimenti su come sviluppare la tua resilienza.

Cerchiamo allora di andare in profondità e di capire prima di tutto da cosa è costituita questa sorprendente “abilità” e quali sono i suoi punti di forza.

Resilienza: bisogni umani e punti di forza

Ogni essere umano ha tre bisogni fondamentali: sicurezza, gratificazione e socialità. 

Questi tre bisogni sono stati messi duramente alla prova in questo ultimo anno avendo la pandemia limitato i quattro sistemi essenziali che abbiamo per soddisfarli. 

I quattro sistemi sono: 

  1. La comprensione della realtà
  2. L’acquisizione delle risorse
  3. La regolazione dei comportamenti e dei pensieri
  4. L’instaurazione di rapporti efficaci con gli altri e con il mondo esterno.

È proprio l’applicazione di questi quattro sistemi ai nostri tre bisogni primari ci permette di individuare i 12 punti forza della resilienza.

Sono 12 risorse interiori fondamentali e su cui lavorare per rafforzare la nostra resilienza.

Resilienza

Dalla comprensione di ciò che avviene intorno a noi dipendono: 

  • Compassione
  • Mindfulness
  • Apprendimento

Dalle risorse che abbiamo a disposizione dipendono:

  • Grinta 
  • Gratitudine
  • Sicurezza

Dalla nostra capacità di regolazione:

  • Calma
  • Motivazione
  • Intimità

Dai rapporti che abbiamo con l’altro dipendono:

  • Coraggio 
  • Aspirazioni
  • Generosità

Sviluppare queste risorse psicologiche ci porterà a sentirci meno ansiosi e meno irritabili, più fiduciosi e generosi, in grado di affrontare gli assalti della vita con la pace e il coraggio che si forma dentro di noi.

I 12 punti di forza si sostengono l’un l’altro come i nodi di una rete. 

Alcuni aspetti possono riguardarci più di altri ma per iniziare il cammino per diventare resilienti il consiglio è quello di iniziare da compassione, mindfulness e apprendimento: colonne portanti sulle quali si basano anche le altre risorse.

Questo perché:

Già il fatto di arrivare al cuore dei problemi è un buon inizio per contribuire a risolverli.

Cerchiamo allora di approfondire questi tre aspetti con i consigli di Rick Hanson, che sul tema della resilienza ha scritto La forza della resilienza. 12 segreti per essere felici, appagati e calmi, Giunti Edizioni 2020.

È un libro che ho acquistato durante la prima fase di lockdown (marzo 2020) e che torno spesso a consultare proprio per la forza che sa infondere.

Comprensione: compassione, mindfulness e apprendimento

Impariamo la compassione verso noi stessi

Il primo passo per superare una sofferenza è accettarla. Non è affatto facile ma è un atteggiamento mentale che possiamo raggiungere grazie alla compassione.

La stessa compassione che proveremmo per un’amica in difficoltà dobbiamo imparare a rivolgerla anche a noi stessi.

Provate a chiedervi come sarebbe la vostra vita di ogni giorno se imparaste a trattarvi bene, a volervi bene, ad accettarvi per come siete, se vi trattate con cura.

Sicuramente diversa, perché sono tutti condizioni da ciò che gli altri si aspettano da noi, anche a scapito di ciò che desideriamo davvero.

Inoltre, trattarsi bene aiuta anche a coltivare buoni rapporti perché le persone appagate sono più positive e pazienti, più premurose e collaborative.

Accettare la realtà non significa arrendersi o smettere di impegnarci per cambiarla.

Significa invece affrontarla evitando lo spreco di energia che resistenza e stress ci causano.

Avere compassione per sé vuol dire allora prendersi cura di sé e del proprio dolore cercando di riconoscere ciò che ci aiuta a sentirci meglio.

I momenti quotidiani di piacere arricchiscono la vita e ci aiutano a combattere lo stress: impariamo a cercarli nelle piccole cose che ci mettono in sintonia con noi stessi e con gli altri.

Ed è proprio grazie alle esperienze piacevoli ripetute che riusciremo a cambiare il nostro cervello, trasformando le esperienze in risorse.

I piccoli modi di trarre piacere dalla vita sono la conferma di una lezione importante: i grandi risultati derivano quasi sempre da un accumulo di elementi minuscoli.

La Mindfulness e la ricerca di un rifugio

Secondo un vecchio detto “siamo ciò che mangiamo”, ma possiamo parafrasarlo anche per la mente:

Siamo ciò a cui prestiamo attenzione.

Sei d’accordo?

Per rispondere prova a pensare a cosa presti attenzione durante la giornata o, meglio, riesci a identificare e concentrarti sui momenti utili e piacevoli o ti lasci sopraffare dall’ansia e dall’autocritica permettendole di diventare parte di te?

Noi ansiosi lo sappiamo bene come anche ritmi accellerati, lo stress o i troppi stimoli che caratterizzano la quotidianità interferiscano nella nostra concentrazione.

Grazie alla Mindfulness possiamo avere consapevolezza del presente: è una sorta di risveglio che permette di vivere ogni momento con la giusta attenzione e concentrazione.

Cos’è e come funziona la Mindfulness?

Possiamo immaginare la mindfulness come una sorta di muscolo mentale, che si rafforza con l’esercizio quotidiano. Con il tempo, l’abitudine a un allenamento costante infonderà la consapevolezza di un presente stabile, non sopraffatto da ansia e insicurezze.

La mindfulness è essenziale per regolare l’attenzione in modo da trarre il massimo dalle esperienze positive e limitare l’impatto di quelle negative o dannose.

Ci permette di richiamare l’attenzione e indirizzarla dove è più utile.

Per abituarci a praticare la mindfulness è importante concentrarsi sulla respirazione: mentre parliamo, mentre facciamo il nostro lavoro. È un’abitudine che aiuta a conservare l’equilibrio interiore e a radicarsi nel presente.

Durante la pausa pranzo, ad esempio, mi sono abituata a ritagliarmi qualche minuto per riordinare i pensieri e fare il punto della situazione.

E ho scoperto quanto sia benefico “radicarmi nel presente” dando il giusto peso a persone e situazioni.

La mindfulness ci dà accesso alle parti più profonde di noi: spesso è un’esperienza gratificante, ma a volte è come aprire una porta di una stanza piena di insidie dalle quali siamo fino ad ora sfuggite.

Per affrontarle dobbiamo sentirci al sicuro.

Nasce così il concetto di rifugio, che possiamo definire come:

Qualsiasi luogo o cosa ti faccia sentire protetto, al sicuro e ti risollevi l’umore.

Ognuno di noi ha il proprio rifugio: ognuno di noi ha un luogo, una cosa, una persona o un’attività che ci aiuta a trovare conforto e riparo durante le esperienze dolorose della vita.

Potrebbe essere anche il cane di casa, quella panca in fondo al giardino in cui vi sedete a pensare, suonare la chitarra, fare running: qualsiasi cosa vi faccia sentire bene.

Ecco, il rifugio è il posto migliore per prendere coscienza di ciò che proviamo e per cercare quel senso di distensione e sollievo.

Concentriamoci su quella sensazione di benessere e serenità e portiamola con noi per rievocarla nei momenti bui, in modo che il rifugio diventi una risorsa sempre disponibile quando ne abbiamo bisogno.

Accettazione, distacco e apprendimento

Sono tanti i libri o i corsi che offrono tecniche per diventare persone più felici, equilibrate e sagge. E tutti, per raggiungere questo scopo, aiutano ad affrontare questi tre aspetti:

  1. Accettare la realtà
  2. Ridurre la negatività
  3. Incrementare il positivo

In poche parole, la capacità di affrontare gli ostacoli e raggiungere la serenità (diventare resilienti) consiste nell’allenarsi in questi tre attività cruciali: è questo l’unico modo per formare il pensiero resiliente.

Pensiero Resiliente

Accettare la realtà significa prendere coscienza delle nostre emozioni e delle nostre esperienze così come sono, accogliendo anche il dolore. Ciò che conta è osservarlo e comprenderlo.

Per ridurre la negatività è necessario interrompere, smorzare, imparare a prevenire ciò che per noi è dannoso o doloroso.

I metodi sono molti: sfogarsi con un amico, allentare la tensione, allontanarsi dalle persone negative.

Allontanarsi dal circolo vizioso dei pensieri negativi è infatti fondamentale per ritrovare il senso delle proporzioni e guardare alla realtà in modo realistico.

Per incrementare il positivo, in modo opposto, è necessario sviluppare e perseverare in tutto ciò che è piacevole e benefico, insomma, tutto ciò che ci fa sentire bene.

Ma anche il pensiero positivo è fondamentale: e allora alimentiamo i ricordi piacevoli e gli obiettivi che ci siamo posti, allo scopo di abituarci a pensare in modo propositivo.

Mi piace pensare alla mente come a un giardino.

Per averne cura dobbiamo osservarlo, eliminare le erbacce e seminare fiori.

Resilienza: l’importanza dell’Apprendimento

La buona notizia è che mantenendo un pensiero resiliente modifichiamo il nostro cervello, che viene plasmato dalle nostre esperienze, che a loro volta dipendono da ciò a cui prestiamo attenzione.

Ho letto di recente che solo un terzo delle nostre caratteristiche è determinato dal DNA, il restante due terzi sono appresi. Ciò vuol dire che abbiamo a disposizione un ampio margine operativo per decidere che persona vogliamo essere.

L’apprendimento di esperienze è un processo di consolidamento neuronale che avviene con la comprensione degli effetti dell’esperienza positiva vissuta. E con il prolungamento della stessa.

È forse più complesso scriverne che viverla. Pensiamo ai nostri tre bisogni primari: sicurezza, gratificazione e socialità; collegati ad esse ci sono un’infinità di risorse mentali.

La gratificazione può essere soddisfatta ad esempio con il senso di adeguatezza, con l’entusiasmo e la gratitudine; la sicurezza con il sentirsi spalleggiati, la calma e la sensazione di pace interiore.

La socialità con la compassione di sé e degli altri, con l’empatia, con il perdono e la generosità.

Sono le esperienze che più ci fanno bene che dobbiamo impegnarci a prolungare e ad assimilare.

Le esperienze di quiete e di distensione, ad esempio, sono un antidoto naturale all’ansia e al nervosismo.

Nel contempo, quando avvertiamo un senso di soddisfazione è essenziale rallentare e assimilarlo per farlo sedimentare nel nostro sistema nervoso.

Inoltre, acquisire quel senso profondo di realizzazione personale ci aiuterà a tollerare critiche e a dipendere meno dal giudizio altrui.

Pensa sempre che si può imparare ad apprendere:

“L’apprendimento è la risorsa interiore che permette il potenziamento delle altre.”

Spero tanto che in questo scritto tu possa trovare qualche spunto per rafforzare la tua resilienza: è un argomento a cui tengo molto e una pratica in cui anch’io mi impegno per migliorare.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi e se anche tu credi che possiamo fare molto per coltivare un pensiero resiliente.

Scrivimi nel box qui sotto!

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Articolo a cura di Sara Soliman
AEsse Communication

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Le sei cose che ho imparato grazie al mio cane

Le sei cose che ho imparato grazie al mio cane

Un cane è per sempre. E quante cose ci può insegnare, se solo impariamo ad “ascoltarlo”

Il nostro cane Romeo (chi mi segue su Instagram lo noterà spesso nelle foto) è un componente di rilievo in famiglia.

Si è unito a noi circa quatto anni fa, quando era un cucciolone di cinque mesi.

Non ha dei trascorsi felici (proviene da un paesino della Sicilia dove l’abbandono degli animali è frequente) ma credo non abbia subito prepotenze di alcun tipo in quanto è stato raccolto da Vincenza, una volontaria che si è presa cura di lui e della sua sorellina sin da piccolo.

Grazie alla “staffetta” Romeo è arrivato in auto prima a Milano e poi, grazie a un’amica, nella nostra casa a Verona.

Il cane è un essere meraviglioso!

È l’amico della vita, a patto di prendersene cura e crescere insieme, qualsiasi età si abbia.

Oggi Romeo è un bel “ragazzone”, giocherellone e abbastanza educato, dico abbastanza perché è anche molto esuberante e spesso si avventa nelle cose (nei giochi) ma anche sulle persone (e non tutti gradiscono, come è normale che sia).

Quando è arrivato è stato un subbuglio generale nelle abitudini e nei ritmi di casa, ma sicuramente ne è valsa la pena.

Ieri sera, mentre guardavamo la tv insieme dal divano, ho pensato ad alcune cose che ora voglio dirvi.

Ho pensato a come sono cambiata in questi anni e a quanto un cane può insegnare.

Romeo non è il mio primo cane, prima di lui c’è stata Trudy, una graziosa cagnolina accolta quando ero ragazza: aveva pochi mesi e ci ha lasciati la scorsa estate. Quando un cane ti lascia una parte della tua vita se ne va con lui.

Come dicevo, Romeo non è il primo cane che vive con noi, è però il primo che è entrato nella mia vita da quando scrivo sul mio blog.

Un blog in cui parlo sì di tecniche di scrittura e di comunicazione, ma in cui racconto anche di me e di quello che la vita mi insegna.

Il blog è per sua natura condivisione, e allora eccomi qui a raccontare cos’ho imparato da questo cucciolone che ha il carattere del Jack Russell e la vivacità e la voglia di correre del Segugio.

Cosa mi ha insegnato il mio cane Romeo

1. La pazienza

Non sono mai stata una persona paziente nel vero senso del termine. Il fatto che ami il silenzio e la tranquillità non vuol dire essere paziente, ne sono consapevole.

Romeo mi ha insegnato la pazienza dell’attesa. Anche i cani hanno bisogno di tempo per apprendere e per imparare ad ascoltarti.

Un po’ come per i bambini, anche le mamme imparano a diventare pazienti quando il bimbo è troppo piccolo per capire. Ci vuole tempo.

Tutte le cose che contano richiedono tempo per maturare.

2. Essere attenta

I cani son come i bambini: finché sono piccoli hanno sempre voglia di giocare e per loro ogni cosa è interessante, soprattutto se nuova. Sgridarli o punirli è sbagliato, bisogna solo fare attenzione.

Soprattutto finché sono cuccioli masticano qualsiasi cosa e dunque è necessario far in modo che nulla sia alla loro portata. Non serve che dica cosa è accaduto agli occhiali da sole di mio marito “dimenticati” su un tavolino. O alle mie dispense lasciate sul divano.

3. Cercare il lato positivo, sempre

I cuccioli sono come una lavagna pulita. Hanno bisogno di apprendere, e siamo noi a dovergli insegnare quali dei loro comportamenti naturali vanno bene e quali sono invece da correggere.

Ma se coltivi il loro lato positivo possono davvero diventare il tuo migliore amico, nella consapevolezza che sono esseri portati ad apprendere.

4. Organizzarmi

Io e mio marito amiamo molto andare in montagna anche solo per qualche giorno. Ovviamente se dovessi pensare ogni volta a tutto quello che devo mettere nello zaino per Romeo (oltre che per noi) finirei per dimenticare qualcosa.

Ho pensato così di aver sempre pronto uno zaino tutto suo con la sua ciotola da viaggio, la pallina, le sue crocchette, il suo libretto delle vaccinazioni – che non si sa mai – e tanto altro.

E, naturalmente, cerco di avere il mio smartphone a portata di mano per catturare il suo sguardo ingenuo quando deve fare qualcosa che non capisce (come fermarsi quando camminiamo, lui procederebbe per ore e ore senza soste) o quando si scatena nelle sue corse nei prati!

5. Le priorità

Organizzare la propria vita in base alle priorità è qualcosa che si impara crescendo.

Anche se spesso vorrei giocare molto di più con Romeo, in realtà devo dare la priorità ad alcune cose che sono essenziali per la mia attività (sono una copywriter) e rispettare impegni e scadenze.

Lavorando da casa è facile distrarsi e molto spesso un attimo diventa mezz’ora.

6. Fermarmi e godermi le piccole cose

C’è così tanto di cui divertirsi con un cane che vive con te!

Quando corre verso di te felice con la pallina in bocca. O quando ci sediamo sul divano e insieme guardiamo gli uccellini che, sul davanzale, mangiano le briciole. Quando rientri dal supermercato (e magari sei uscito per mezz’ora) e lui è così felice che non sta nella pelle.

La felicità delle piccole grandi cose, già.

Come un piccolo grande cane.

Amico cane

Amare e difendere gli animali non significa essere dei fanatici o, peggio, odiare gli esseri umani. Amare gli animali significa semplicemente prendere le difese di chi non può farlo da solo, avere quel pezzettino di sensibilità in più che ti permette di cogliere quanto sono speciali e innervosirsi quando vedi tanta cattiveria gratuita nei loro confronti

 

Distanziamento e Pet-therapy

Ho letto un’articolo qualche mese fa in cui si raccontava come durante questi lunghi mesi di pandemia il numero dei pet-lover sia esploso.

Comprensibile. In questi tempi monotoni di distanziamento la presenza di un animale è davvero salvifica: ci godiamo la loro innata gioia, il loro calore corporeo, l’incontenibile fisicità, mugolii e snasate.

La vicinanza di un animale reale, caldo, consolatorio e affettuoso ci aiuta a superare tutti i traumi che stiamo sperimentando, dalla vulnerabilità alla solitudine fino alla morte.

E poi, con un animale accanto, il dolore è sempre un po’ meno terribile.

Come scrisse Ildegarda di Bingen:

Date all’uomo un cane e la sua anima sarà guarita.


Se vuoi leggere qualche libro sul
rapporto tra uomo e cane ti consiglio:
  • Guido Guerzoni, Pets. Come gli animali domestici hanno invaso le nostre case e i nostri cuori, Feltrinelli Edizioni
  • Tom Ryan, Con te in cima al mondo, Sperling & Kupfer Editori
  • Janine Adams, Parlando con gli animali, Paco Editori
  • Graeme Sims, L’uomo che sussurra ai cani, De Agostini Editore
  • Graeme Sims, Il linguaggio segreto dei cani, Sperling & Kupfer Editori
  • Les Krantz, Il tuo cane è un genio, Mondadori Editore

 

Sara Soliman
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Abbatti le barriere della comunicazione e scopri le 6 caratteristiche della comunicazione efficace

Abbatti le barriere della comunicazione e scopri le 6 caratteristiche della comunicazione efficace

Per comunicare in modo efficace e consapevole è necessario prima di tutto saper ascoltare il nostro interlocutore e limitare al minimo le barriere delle comunicazione

Noi tutti comunichiamo e attiviamo, spesso anche senza rendercene conto, processi di scambio e relazione reciproca con il nostro interlocutore.

Comunicare in modo efficace significa saper esprimere il proprio pensiero in ogni situazione, sia a livello verbale che non verbale (espressioni del viso, tono di voce, gestualità) in modo chiaro e coerente.

Ma soprattutto significa fare in modo di essere compresi dal nostro interlocutore.

Importante è conoscere quali sono e come influiscono le barriere della comunicazione sull’efficacia della comunicazione stessa e della relazione.

Dal momento che non si può non comunicare perché lo stesso silenzio comunica il desiderio di non comunicare, è bene tenere a mente quelle semplici regole della comunicazione note come gli Assiomi di Watzlawick (o Assiomi della Comunicazione).

Saper comunicare in modo efficace è importante tanto in campo lavorativo quanto in campo esistenziale.

In campo lavorativo comunicare in modo efficace ci permette di evitare errori e incomprensioni, di ridurre i tempi e di migliorare la qualità delle nostre relazioni e quindi il rapporto con colleghi e clienti.

In campo esistenziale la comunicazione efficace ci aiuta a migliorare il rapporto con le persone e con noi stessi, migliorando la qualità della nostra vita.

Vediamo insieme scopi e finalità di una comunicazione efficace, le barriere della comunicazione e le caratteristiche di una comunicazione efficace.

Scopi della comunicazione

Una comunicazione efficace ha 4 finalità:

  1. Trasmettere un messaggio comprensibile e coerente;
  2. Migliorare il livello di comprensione del messaggio;
  3. Assicurarsi che l’altro abbia compreso;
  4. Agevolare il processo di inter-relazione.

Vediamoli uno per uno.

1. Trasmettere un messaggio comprensibile e coerente

Quando parliamo non abbiamo la garanzia che il contenuto venga compreso, né che quanto detto giunga al nostro interlocutore in maniera coerente con le nostre intenzioni.

Affinché ci sia vera comprensione dobbiamo far in modo che la nostra comunicazione sia:

  • chiara, facilmente comprensibile e modulata in termini di parole in base al nostro interlocutore;
  • concisa, meglio evitare messaggi troppo lunghi. Nel caso di molte informazioni scriviamo i punti principali in un foglio;
  • concreta, ossia supportata da esempi reali;
  • veritiera, perché se vogliamo creare una relazione autentica non ha alcun senso mentire;
  • completa.

2. Migliorare il livello di comprensione del messaggio: la PNL (Programmazione Neurolinguistica)

Per fare in modo che il mio interlocutore mi comprenda devo considerare che le persone utilizzano i loro sensi anche nella comunicazione.

La Programmazione Neurolinguistica ci insegna infatti che, per inviare o comprendere un messaggio, tendiamo a basarci su alcuni canali sensoriali.

La Programmazione Neurolinguistica (PNL in inglese neuro-linguistic programming, NLP) è un metodo di comunicazione e un sistema di “life coaching” definito da alcuni suoi promotori come:

un approccio alla comunicazione, allo sviluppo personale e alla psicoterapia.

Il nome deriva dall’idea che ci sia una connessione fra:

  • i processi neurologici (neuro), 
  • il linguaggio (linguistico), 
  • gli schemi comportamentali appresi con l’esperienza (programmazione).

 Questi schemi vengono organizzati da ciascuno di noi per raggiungere specifici obiettivi nella vita.

Secondo la PNL le tipologie sensoriali sono 3: visiva, uditiva, cineastica.

Secondo la tipologia visiva abbiamo una memoria di tipo fotografico. Delle nostre interazioni ricordiamo soprattutto le immagini e per apprendere abbiamo bisogno di vedere come si fa oppure di avere un promemoria scritto.

La tipologia uditiva invece si basa sul fatto che la nostra memoria è fatta di suoni e per apprendere abbiamo bisogno di ascoltare bene le spiegazioni.

La tipologia sensoriale cineastica si basa sul fatto che ogni persona è molto sensibile alle impressioni che gli arrivano a pelle e nelle interazioni vive. Queste sensazioni sono presenti in modo maggiore rispetto alle parole o alle immagini.

È una tipologia sensoriale collegata alla manualità e dunque per ricordare ha bisogno di fare qualcosa piuttosto che vederlo o sentirlo.

Ricordiamo inoltre che la memoria è di tipo olfattivo, quindi dei posti o delle situazioni vissute tendiamo a ricordare maggiormente gli odori e le sensazioni provate.

Ognuno di noi utilizza tutte tre queste tipologie, anche se in modo diverso.

Ma torniamo alla comunicazione e cerchiamo di capire l’importanza dei diversi approcci sensoriali.

Se voglio inviare un messaggio a una persona che utilizza maggiormente il canale uditivo e lo faccio con la mia modalità che è, ad esempio, visiva, è molto probabile che il mio interlocutore mi comprenda poco.

Di qui l’importanza di cercare di modificare la propria modalità di espressione del messaggio in modo da renderlo maggiormente comprensibile se noto che l’altro ha difficoltà a comprendermi.

In questo caso, ad esempio, potrei utilizzare sia la comunicazione verbale, ma contemporaneamente fermare i punti essenziali del mio discorso in un foglio, utilizzando così anche la comunicazione visiva.

Ho già scritto di quanto sia importante oggi imparare a comunicare con empatia: leggi il mio articolo per capire come, grazie all’empatia, si possa creare un rapporto di fiducia dando valore agli altri e valorizzando se stessi.

 

comunicazione efficace

 

3. Assicurarsi che l’altro abbia compreso

Ricorda che:

Non è sufficiente esprimere un messaggio in modo chiaro e comprensibile per essere sicuri che l’altro ci abbia compreso.

Buona abitudine sarebbe quindi chiedere all’altro di riassumere quanto abbiamo detto (certo, senza fare i professori) con lo scopo di riformulare il discorso.

La riformulazione è molto importante perché ci permette di spiegare meglio ciò che si sta dicendo, evitando così fraintendimenti.

Ci permette inoltre di comprendere ciò che l’altro ha capito di quanto gli abbiamo detto e, quindi, di integrare e approfondire l’argomento.

4. Agevolare il processo di inter-relazione

Per agevolare il processo di scambio di informazione e di inter-relazione e far sì che il nostro interlocutore rimanga nella comunicazione in modo attivo è importante evitare alcune barriere della comunicazione.

Cosa sono le barriere della comunicazione?

Le barrire della comunicazione sono modalità che spesso utilizziamo in modo spontaneo per abitudine o per cultura. Evitarle non è semplice, ma dovremmo cercare di limitarle al minimo.

Le barriere della comunicazione tendono infatti ad essere percepite in modo negativo dal nostro interlocutore, portandolo spesso a chiudere la comunicazione.

Oppure a continuarla, ma mantenendo un approccio di tipo difensivo, per nulla efficace agli scopi di relazione.

Vediamo alcuni esempi di atteggiamenti che costituiscono barriere comunicative:

  • Interpretare: è un modo di definire la parole dell’altro senza chiedergli conferma. Non è detto che corrisponda a verità.
  • Giudicare: il giudizio pone l’altro sulla difensiva e la comunicazione continua in modo negativo, sempre che il soggetto non si allontani.
  • Svalutare: sentirsi svalutati pone una grande barriera verso l’altro. Ci si sente non considerati e non compresi. La comunicazione non sarà più autentica né efficace perché l’altro viene visto come qualcuno che allontana.
  • Punire: la punizione non è mai produttiva, per il semplice motivo che non gratifica. È difficile poi riprendere a comunicare con una persona che si sente umiliata.
  • Sostituire: una persona in difficoltà con il proprio lavoro non va sostituita facendole credere di essere un incapace. Se lo scopo è quello di farle imparare il lavoro va affiancata e resa autonoma.
  • Interrompere: è un atteggiamento che esprime non ascolto e non comprensione dell’altro, anche se pensiamo di sapere cosa vuole comunicarci o abbiamo fretta di rispondere.
  • Pressare: serve solo a far aumentare l’ansia. Non serve a far tirar fuori il meglio di sé all’altro, anzi, il rischio è che reagisca con rabbia.
  • Sviolinare: le gratificazioni sono importanti, ma devono essere sincere. Altrimenti, per la potenza del linguaggio non verbale, la non sincerità viene percepita e l’altro si sente poco stimato.

Ogni volta che utilizziamo questi modi di comunicare dobbiamo renderci conto che mettiamo l’altro in difficoltà e blocchiamo o rendiamo difficile la comunicazione.

Un approfondimento sulle barriere della comunicazione lo trovi nell’articolo Barriere della Comunicazione: impara a riconoscerle e ad evitarle per creare una comunicazione efficace e una relazione autentica

La comunicazione efficace: gestualità e contesto

Per comunicare in modo efficace è importante avere chiari innanzitutto il motivo e l’obiettivo della nostra comunicazione.

Dovremmo chiederci sempre:

  • quale è il vero motivo per cui voglio comunicare ciò che ho in mente?
  • cosa desidero che accada dopo che ho comunicato al mio interlocutore ciò che ho in mente?

Secondo la PNL (Programmazione Neuro Linguistica) nella comunicazione dobbiamo considerare alcuni aspetti:

  1. Il significato della mia comunicazione è la risposta che ricevo.
    Ciò significa che il comportamento dell’altro è il risultato del mio modo di comunicare, è il feedback della mia comunicazione.
  2. Non si può non comunicare.
  3. L’unica informazione certa su una persona è il suo comportamento.
  4. La persona non è il suo comportamento.
  5. Non c’è mai fallimento, ma solo feed-back.

Nella relazione di comunicazione, inoltre, alcuni aspetti giocano un ruolo molto importante, e sono:

  • lo sguardo tra gli interlocutori,
  • a gestualità che accompagna le parole,
  • il tono di voce,
  • la capacità di ascoltare e di comprendersi a vicenda.

Ricorda che ascoltare è diverso da sentire. Senza ascolto non c’è comunicazione, perché diventa impossibile creare interazione tra te e le persone con cui stai parlando.

Negli anni la comunicazione si è evoluta: la relazione ha assunto più importanza del contenuto e si è affermato un approccio relazionale basato sul rapporto tra uomo e contesto, oltre che tra uomo e uomo.

Nei social, all’interno di gruppi o delle community, la comunicazione è cambiata e si generano comportamenti e reazioni ogni volta diversi.

Questo significa che il contesto modifica il modo di comunicare.

E vuol dire che la comunicazione, per essere efficace, non si focalizza più solo su chi parla e su ciò che dice, ma anche sul contesto in cui è inserita.

I social media hanno abbattuto le differenze di status e le relazioni oggi si basano sulla collaborazione, sulla trasparenza e sulla condivisione.

Le caratteristiche della comunicazione efficace

Una comunicazione efficace, ricapitolando, si caratterizza per:

1. Capacità di sintesi. Essere concisi significa comunicare tutte le informazioni importanti senza aggiungere dettagli inutili.

2. Considerazione della visione dell’altro. Conoscenze dell’altro e stato d’animo (con empatia) vanno prese in considerazione per modulare la nostra comunicazione e renderla efficace.

3. Completezza. La comunicazione deve contenere tutte le informazioni necessarie per valutare la situazione e raggiungere gli obiettivi in breve tempo.

4. Concretezza. La comunicazione efficace si basa su dati e fatti a supporto dei contenuti. Comunicare in modo concreto significa anche rispondere in modo preciso alle domande e sviluppare le argomentazioni richieste.

5. Chiarezza. Elemento importante per la chiarezza è l’uso della terminologia appropriata, al fine di ridurre fraintendimenti.

6. Credibilità. Comunicare in modo corretto, evitando errori di sintassi o di grammatica, migliora la chiarezza del messaggio e permette di acquisire credibilità come persona, a tutto vantaggio del messaggio e della relazione.

Anche in campo lavorativo le relazioni oggi si basano sulla collaborazione, sulla trasparenza e sulla condivisione.

Spero che questo articolo possa esserti d’aiuto per migliorare il tuo approccio comunicativo e relazionale.

Credo che tutti dobbiamo continuamente mettere in discussione il nostro modo di comunicare con l’obiettivo di renderci migliori.

E tu, cosa ne pensi?

 

Sara Soliman

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