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Gli errori più comuni in italiano, anche sul web

Gli errori più comuni in italiano, anche sul web

Accenti e maiuscole, congiuntivi e altri errori frequenti. Una breve guida per non aver più alcun dubbio

L’italiano è tra le lingue più difficili da imparare, proprio per le tante regole grammaticali che lo caratterizza e che non si possono dimenticare.

Se anche tu scrivi per il web avrai notato che sono parecchi gli errori che si incontrano in rete, errori che però sarebbe meglio evitare.

Ecco una lista degli errori più frequenti che si incontrano in rete, una piccola guida per non fare quegli sbagli che potrebbero metterci in cattiva luce con chiunque si trovi a leggere un nostro testo.

Apostrofi, accenti, doppie, coniugazioni: leggi questo articolo e non avrai più dubbi!

I 13 più comuni errori sul web

Questi ed altri solo gli errori più frequenti di ortografia, soprattutto tra gli studenti.

E se in qualche caso gli errori sono facilmente evitabili, in altri il dubbio è legittimo. O, come capita qualche volta, sono ammesse più forme diverse tra loro. Vediamoli insieme.

1.Qual è o qual’è?

Questo è un errore molto comune, a volte dovuto a una svista, altre volte alla non conoscenza della grammatica.

Se apriamo il volume “4.000 errori d’italiano” di Mauro Magni, giornalista Rai e linguista, edito nel 1990 da De Vecchi Editore, leggiamo che:

Davanti a vocale “quale” si può troncare e va scritto senza apostrofo: non è quindi corretto (ma non è neppure un errore grave!) scrivere: qual’è, qual’amica, qual’evento, ecc.

Meglio scrivere: qual è, qual amica, qual evento.

Nota bene: scriveremo qual è e non qual’è, ma qual’erano e non qual erano.

2.Da o dà?

Da o ? Dipende dai casi.

Si accenta quando è inteso come voce del verbo dare.

Esempio: Mi dà ragione.

Non si accenta invece quando è usato come proposizione semplice

Esempio: Sono appena tornato da scuola.

Vuole l’apostrofo invece nel caso in cui si utilizzi come imperativo alla seconda persona singolare.

Esempio: Da’ un aiuto a tuo fratello, per favore.

3.E o ed? A o ad?

L’aggiunta della D eufonica (dal greco, significa bel suono) si aggiunge solo nel caso in cui la parola che segue cominci con la stessa vocale.

Esempi: Vado ad Ancona; era felice ed entusiasta; ed ecco.

Non si dice invece: Ed ancora; od anche.

4.Si o sì?

In caso di particella affermativa, va sempre accentato, mentre in tutti gli altri casi non bisogna mettere l’accento.

Esempi: Sì, vengo con te; si stanno facendo belle.

5.Desse o dasse? Stesse o stasse?

Che problema i congiuntivi, specie quelli imperfetti!

Uno degli errori più frequenti si fa con i verbi dare e stare.

Le forme corrette per la terza persona singolare del congiuntivo imperfetto sono:
Che egli stesse e NON stasse.
Che egli desse e NON dasse.

errori comuni

Qualsiasi dubbio tu abbia, il consiglio è quello di verificare la versione corretta della parola in un buon dizionario della lingua italiana e tenere un quaderno dove segnare le nuove regole apprese

6.Fa o fà?

Verbo fare, indicativo, terza persona singolare: si usa fa o fà? La forma corretta è senza accento, quindi fa.
Esempio: Questo non fa male; un mese fa.

7.Affianco o a fianco?

Un altro frequentissimo dubbio riguarda l’utilizzo di a fianco o affianco per dire “a lato di“.
Qual è la forma giusta?
Affianco è in realtà la prima persona singolare del presente indicativo del verbo affiancare.
Esempio: Affianco quella macchina per chiedergli informazioni.

Per dire “a lato di” la forma corretta è quindi senza dubbio a fianco. Esempio: Il negozio che cerchi si trova a fianco del cartolaio.

8.Entusiasto o entusiasta?

Anche se ci si riferisce a un soggetto maschile, la forma corretta di quest’aggettivo è entusiasta. Questo vale solo quando si parla al singolare perché invece quando ci si riferisce a più soggetti si distingue nuovamente tra maschile e femminile.

Quindi si avrà entusiasti per il maschile e entusiaste per il femminile, mentre la forma entusiasto non è corretta.

9.Un po, un po’ o un pò?

La forma corretta è quella con l’apostrofo, un po’. Il motivo è molto semplice: si tratta di un troncamento della parola poco, di conseguenza l’apostrofo va messo per mettere in evidenza che in quel punto c’è stata una caduta di una sillaba.

Vietato quindi mettere accenti o scrivere un po’ senza apostrofo!

10.È piovuto o ha piovuto?

Sono corrette entrambe le forme. Questo vale se per piovere si intende proprio la caduta della pioggia dal cielo, sia in forma impersonale.

In tutti gli altri casi, come ad esempio nel caso di piovere critiche, si deve utilizzare il verbo essere.

Dunque si dirà sono piovute critiche e non hanno piovuto critiche.

11.Perchè o perché?

La soluzione è perché: la “e” finale deve essere scritta con l’accento acuto perché è una “e” chiusa.

Questa è una comune caratteristica dei composti di -che: dacché, poiché, sicché, affinché.

12.Se stesso o sé stesso?

Quando il se è retto da stesso, l’accento non è necessario, quindi si scrive se stesso.

Quando invece troviamo solo il se in posizione non ipotetica, bisogna mettere l’accento.

Esempi: Viene da sé, se fosse stato, essere se stesso.

13.É o è?

La “é” indica il suono chiuso, la “è” aperto. Visto che comunque quando si scrive molto spesso non si differenzia l’accento, si può adottare questa regola: si usa sempre la “è”, tranne su “perché”, che vuole la “é”.

La regola degli accenti

Ecco una semplice formula per ricordare quando una parola monosillaba è accentata e quando no:
– una parola monosillaba è accentata se può avere due significati diversi;
– si accenta sempre, delle due, quella che è un verbo;
– se nessuna delle due è un verbo, si accenta quella meno usata;
– se una parola monosillaba ha solo un significato (oppure può essere anche un nipote di Paperino o una nota musicale) non si accenta mai.

La lettera maiuscola

Un altro dubbio frequente riguarda la lettere maiuscola. Come norma generale, l’uso dell’iniziale maiuscola, a parte i nomi propri e le parole che seguono un punto fermo, va limitato ai casi veramente necessari.

Indicativamente, l’iniziale maiuscola usata per:

  • nomi di stati e di continenti: Italia, Asia;
  • periodi storici e movimenti: il Rinascimento, l’Impressionismo;
  • le istituzioni: il Governo;
  • soprannomi e pseudonimi: Re Sole;
  • denominazioni antonomastiche: il Nuovo Mondo, la Grande Guerra;
  • aggettivi sostantivati che indicano territori: il Veronese, il Napoletano;
  • titoli stranieri: Sir John Franklin, Lady Mary;
  • nomi di edifici e monumenti: la Casa Bianca, Palazzo Chigi, San Marco;
  • nomi geografici costituiti da due sostantivi o da un sostantivo e un aggettivo in funzione di nomi propri: Oceano Pacifico, Australia Occidentale, Monte Bianco.

La grammatica italiana prescrive invece l’uso della minuscola in caso di:

  • i popoli (i tedeschi);
  • i titoli onorifici e professionali (dottore, generale);
  • i mesi e i giorni della settimana.

Inoltre, la grammatica non dice come regolarsi in quelle situazioni intermedie in cui la maiuscola può esserci oppure no. E in questo caso dipende dalla scelte che fai, dalle norme redazionali che decidi di applicare.

Ad esempio, puoi scrivere: l’università / l’Università; capitale/Capitale.

L’importante, in questo caso, è fare una scelta e mantenerla con coerenza fino alla fine.

Per approfondire potresti leggere:

Che ne dici? Hai trovato altri errori comuni sul web? Spero che questa guida ti possa essere utile, se hai qualche domanda non esitare a scrivermi nel box qui sotto.

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Da qualche anno tengo Corsi di Comunicazione e scrittura per il web per scuole e privati.

Ho una laurea magistrale in editoria e giornalismo, amo da sempre leggere e andare in montagna, palestra di vita.

Sara Soliman

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Resilienza: quell’insieme di risorse da coltivare e rafforzare per affrontare la vita con grinta

Resilienza: quell’insieme di risorse da coltivare e rafforzare per affrontare la vita con grinta

Imparare a coltivare un pensiero resiliente è un impegno quotidiano che ci permetterà di diventare persone capaci di reagire e rialzarci di fronte alle avversità

Negli ultimi mesi, la parola resilienza è stata molto cercata nel web, a dimostrazione di quanto se ne parli ma anche di quanto poco la si conosca nel suo significato più profondo.

“Be resilient”, essere resilienti, sembra essere l’imperativo grazie al quale l’Italia potrà rialzarsi dopo la pandemia e che tutti noi dovremo seguire per ricostruire o reinventarci nella nostra vita lavorativa.

Sappiamo bene però che rialzarsi non è questione di sola volontà, come non è una decisione che porta a risultati immediati.

La resilienza ci aiuta a guarire dai traumi, a superare ostacoli e avversità e a perseverare nei nostri obiettivi.

Ma cos’è la resilienza? E come si diventa resilienti?

Certo non da un giorno all’altro. La resilienza è una forza, a patto di riuscire a costruirla dentro noi stessi, con pazienza e umiltà.

Siamo tutti preoccupati per il futuro. Quando le nostre esigenze non vengono soddisfatte siamo feriti e frustrati.

Chi non ha mai provato almeno uno di questi sentimenti?

Ma come possiamo trasformare le nostre paure in una forza propositiva? In resilienza?

Ho letto di recente dei testi interessanti sull’argomento e spero, con questo articolo, di poterti dare dei buoni suggerimenti su come sviluppare la tua resilienza.

Cerchiamo allora di andare in profondità e di capire prima di tutto da cosa è costituita questa sorprendente “abilità” e quali sono i suoi punti di forza.

Resilienza: bisogni umani e punti di forza

Ogni essere umano ha tre bisogni fondamentali: sicurezza, gratificazione e socialità. 

Questi tre bisogni sono stati messi duramente alla prova in questo ultimo anno avendo la pandemia limitato i quattro sistemi essenziali che abbiamo per soddisfarli. 

I quattro sistemi sono: 

  1. La comprensione della realtà
  2. L’acquisizione delle risorse
  3. La regolazione dei comportamenti e dei pensieri
  4. L’instaurazione di rapporti efficaci con gli altri e con il mondo esterno.

È proprio l’applicazione di questi quattro sistemi ai nostri tre bisogni primari ci permette di individuare i 12 punti forza della resilienza.

Sono 12 risorse interiori fondamentali e su cui lavorare per rafforzare la nostra resilienza.

Resilienza

Dalla comprensione di ciò che avviene intorno a noi dipendono: 

  • Compassione
  • Mindfulness
  • Apprendimento

Dalle risorse che abbiamo a disposizione dipendono:

  • Grinta 
  • Gratitudine
  • Sicurezza

Dalla nostra capacità di regolazione:

  • Calma
  • Motivazione
  • Intimità

Dai rapporti che abbiamo con l’altro dipendono:

  • Coraggio 
  • Aspirazioni
  • Generosità

Sviluppare queste risorse psicologiche ci porterà a sentirci meno ansiosi e meno irritabili, più fiduciosi e generosi, in grado di affrontare gli assalti della vita con la pace e il coraggio che si forma dentro di noi.

I 12 punti di forza si sostengono l’un l’altro come i nodi di una rete. 

Alcuni aspetti possono riguardarci più di altri ma per iniziare il cammino per diventare resilienti il consiglio è quello di iniziare da compassione, mindfulness e apprendimento: colonne portanti sulle quali si basano anche le altre risorse.

Questo perché:

Già il fatto di arrivare al cuore dei problemi è un buon inizio per contribuire a risolverli.

Cerchiamo allora di approfondire questi tre aspetti con i consigli di Rick Hanson, che sul tema della resilienza ha scritto La forza della resilienza. 12 segreti per essere felici, appagati e calmi, Giunti Edizioni 2020.

È un libro che ho acquistato durante la prima fase di lockdown (marzo 2020) e che torno spesso a consultare proprio per la forza che sa infondere.

Comprensione: compassione, mindfulness e apprendimento

Impariamo la compassione verso noi stessi

Il primo passo per superare una sofferenza è accettarla. Non è affatto facile ma è un atteggiamento mentale che possiamo raggiungere grazie alla compassione.

La stessa compassione che proveremmo per un’amica in difficoltà dobbiamo imparare a rivolgerla anche a noi stessi.

Provate a chiedervi come sarebbe la vostra vita di ogni giorno se imparaste a trattarvi bene, a volervi bene, ad accettarvi per come siete, se vi trattate con cura.

Sicuramente diversa, perché sono tutti condizioni da ciò che gli altri si aspettano da noi, anche a scapito di ciò che desideriamo davvero.

Inoltre, trattarsi bene aiuta anche a coltivare buoni rapporti perché le persone appagate sono più positive e pazienti, più premurose e collaborative.

Accettare la realtà non significa arrendersi o smettere di impegnarci per cambiarla.

Significa invece affrontarla evitando lo spreco di energia che resistenza e stress ci causano.

Avere compassione per sé vuol dire allora prendersi cura di sé e del proprio dolore cercando di riconoscere ciò che ci aiuta a sentirci meglio.

I momenti quotidiani di piacere arricchiscono la vita e ci aiutano a combattere lo stress: impariamo a cercarli nelle piccole cose che ci mettono in sintonia con noi stessi e con gli altri.

Ed è proprio grazie alle esperienze piacevoli ripetute che riusciremo a cambiare il nostro cervello, trasformando le esperienze in risorse.

I piccoli modi di trarre piacere dalla vita sono la conferma di una lezione importante: i grandi risultati derivano quasi sempre da un accumulo di elementi minuscoli.

La Mindfulness e la ricerca di un rifugio

Secondo un vecchio detto “siamo ciò che mangiamo”, ma possiamo parafrasarlo anche per la mente:

Siamo ciò a cui prestiamo attenzione.

Sei d’accordo?

Per rispondere prova a pensare a cosa presti attenzione durante la giornata o, meglio, riesci a identificare e concentrarti sui momenti utili e piacevoli o ti lasci sopraffare dall’ansia e dall’autocritica permettendole di diventare parte di te?

Noi ansiosi lo sappiamo bene come anche ritmi accellerati, lo stress o i troppi stimoli che caratterizzano la quotidianità interferiscano nella nostra concentrazione.

Grazie alla Mindfulness possiamo avere consapevolezza del presente: è una sorta di risveglio che permette di vivere ogni momento con la giusta attenzione e concentrazione.

Cos’è e come funziona la Mindfulness?

Possiamo immaginare la mindfulness come una sorta di muscolo mentale, che si rafforza con l’esercizio quotidiano. Con il tempo, l’abitudine a un allenamento costante infonderà la consapevolezza di un presente stabile, non sopraffatto da ansia e insicurezze.

La mindfulness è essenziale per regolare l’attenzione in modo da trarre il massimo dalle esperienze positive e limitare l’impatto di quelle negative o dannose.

Ci permette di richiamare l’attenzione e indirizzarla dove è più utile.

Per abituarci a praticare la mindfulness è importante concentrarsi sulla respirazione: mentre parliamo, mentre facciamo il nostro lavoro. È un’abitudine che aiuta a conservare l’equilibrio interiore e a radicarsi nel presente.

Durante la pausa pranzo, ad esempio, mi sono abituata a ritagliarmi qualche minuto per riordinare i pensieri e fare il punto della situazione.

E ho scoperto quanto sia benefico “radicarmi nel presente” dando il giusto peso a persone e situazioni.

La mindfulness ci dà accesso alle parti più profonde di noi: spesso è un’esperienza gratificante, ma a volte è come aprire una porta di una stanza piena di insidie dalle quali siamo fino ad ora sfuggite.

Per affrontarle dobbiamo sentirci al sicuro.

Nasce così il concetto di rifugio, che possiamo definire come:

Qualsiasi luogo o cosa ti faccia sentire protetto, al sicuro e ti risollevi l’umore.

Ognuno di noi ha il proprio rifugio: ognuno di noi ha un luogo, una cosa, una persona o un’attività che ci aiuta a trovare conforto e riparo durante le esperienze dolorose della vita.

Potrebbe essere anche il cane di casa, quella panca in fondo al giardino in cui vi sedete a pensare, suonare la chitarra, fare running: qualsiasi cosa vi faccia sentire bene.

Ecco, il rifugio è il posto migliore per prendere coscienza di ciò che proviamo e per cercare quel senso di distensione e sollievo.

Concentriamoci su quella sensazione di benessere e serenità e portiamola con noi per rievocarla nei momenti bui, in modo che il rifugio diventi una risorsa sempre disponibile quando ne abbiamo bisogno.

Accettazione, distacco e apprendimento

Sono tanti i libri o i corsi che offrono tecniche per diventare persone più felici, equilibrate e sagge. E tutti, per raggiungere questo scopo, aiutano ad affrontare questi tre aspetti:

  1. Accettare la realtà
  2. Ridurre la negatività
  3. Incrementare il positivo

In poche parole, la capacità di affrontare gli ostacoli e raggiungere la serenità (diventare resilienti) consiste nell’allenarsi in questi tre attività cruciali: è questo l’unico modo per formare il pensiero resiliente.

Pensiero Resiliente

 

Accettare la realtà significa prendere coscienza delle nostre emozioni e delle nostre esperienze così come sono, accogliendo anche il dolore. Ciò che conta è osservarlo e comprenderlo.

Per ridurre la negatività è necessario interrompere, smorzare, imparare a prevenire ciò che per noi è dannoso o doloroso.

I metodi sono molti: sfogarsi con un amico, allentare la tensione, allontanarsi dalle persone negative.

Allontanarsi dal circolo vizioso dei pensieri negativi è infatti fondamentale per ritrovare il senso delle proporzioni e guardare alla realtà in modo realistico.

Per incrementare il positivo, in modo opposto, è necessario sviluppare e perseverare in tutto ciò che è piacevole e benefico, insomma, tutto ciò che ci fa sentire bene.

Ma anche il pensiero positivo è fondamentale: e allora alimentiamo i ricordi piacevoli e gli obiettivi che ci siamo posti, allo scopo di abituarci a pensare in modo propositivo.

Mi piace pensare alla mente come a un giardino.

Per averne cura dobbiamo osservarlo, eliminare le erbacce e seminare fiori.

Resilienza: l’importanza dell’Apprendimento

La buona notizia è che mantenendo un pensiero resiliente modifichiamo il nostro cervello, che viene plasmato dalle nostre esperienze, che a loro volta dipendono da ciò a cui prestiamo attenzione.

Ho letto di recente che solo un terzo delle nostre caratteristiche è determinato dal DNA, il restante due terzi sono appresi. Ciò vuol dire che abbiamo a disposizione un ampio margine operativo per decidere che persona vogliamo essere.

L’apprendimento di esperienze è un processo di consolidamento neuronale che avviene con la comprensione degli effetti dell’esperienza positiva vissuta. E con il prolungamento della stessa.

È forse più complesso scriverne che viverla. Pensiamo ai nostri tre bisogni primari: sicurezza, gratificazione e socialità; collegati ad esse ci sono un’infinità di risorse mentali.

La gratificazione può essere soddisfatta ad esempio con il senso di adeguatezza, con l’entusiasmo e la gratitudine; la sicurezza con il sentirsi spalleggiati, la calma e la sensazione di pace interiore.

La socialità con la compassione di sé e degli altri, con l’empatia, con il perdono e la generosità.

Sono le esperienze che più ci fanno bene che dobbiamo impegnarci a prolungare e ad assimilare.

Le esperienze di quiete e di distensione, ad esempio, sono un antidoto naturale all’ansia e al nervosismo.

Nel contempo, quando avvertiamo un senso di soddisfazione è essenziale rallentare e assimilarlo per farlo sedimentare nel nostro sistema nervoso.

Inoltre, acquisire quel senso profondo di realizzazione personale ci aiuterà a tollerare critiche e a dipendere meno dal giudizio altrui.

Pensa sempre che si può imparare ad apprendere:

“L’apprendimento è la risorsa interiore che permette il potenziamento delle altre.”

Spero tanto che in questo scritto tu possa trovare qualche spunto per rafforzare la tua resilienza: è un argomento a cui tengo molto e una pratica in cui anch’io mi impegno per migliorare.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi e se anche tu credi che possiamo fare molto per coltivare un pensiero resiliente.

Scrivimi nel box qui sotto!

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Il Manifesto della Comunicazione non Ostile di Parole O_Stili compie 4 anni

Il Manifesto della Comunicazione non Ostile di Parole O_Stili compie 4 anni

Il 17 febbraio 2021 il Manifesto della comunicazione non ostile di Parole O_Stili compie 4 anni.

Nell’anno che si è da poco concluso abbiamo capito, con ancora più convinzione, quanto importanti siano le parole: queste possono terrorizzarci o caricarci di ansia ma possono anche unirci in una comunità solidale e inclusiva.

Qualche settimana fa ho firmato anch’io il Manifesto della Comunicazione non ostile di Parole o_Stili e mi impegno a promuoverne i princìpi e a diffonderli in rete.

Dopo aver approfondito il tema della comunicazione, parlando di netiquette, di comunicazione etica e di comunicazione empatica, parliamo oggi di questo progetto nato 4 anni fa a Trieste e che “ha l’ambizione di ridefinire lo stile con cui stare in rete e diffondere il virus positivo dello scelgo le parole con cura”.

Cos’è il Manifesto della Comunicazione Non Ostile di Parole O_Stili

Il Manifesto è un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole, un progetto che, tramite webinar e lezioni nelle scuole e nelle aziende, diffonde la cultura della scelta responsabile delle parole.

È una carta che elenca dieci princìpi di stile utili a migliorare lo stile e il comportamento di chi sta in Rete con lo scopo di favorire comportamenti rispettosi e civili affinché il web diventi un luogo di crescita e confronto, non di scontro continuo.

Il Manifesto della comunicazione non ostile è un impegno di responsabilità che va condivisa, un impegno che tutti dovremmo assumere.

Basterebbe forse seguire il primo dei dieci principi per fare del web un luogo migliore:

Virtuale è Reale.
Dico o scrivo in rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona.

 

Manifesto comunicazione non ostile

 

La community di Parole O_Stili è sostenuta da decine di migliaia di persone, scuole e aziende che credono che le parole abbiano un peso e un valore.

Il progetto sottolinea il potere delle parole, che possono unire e commuovere ma anche ferire e allontanare.

“Le parole sono un ponte.”

Le parole che scegliamo dovrebbero avvicinarci agli altri, aiutarci a comprendere. La mia parola ponte è spiegami. E la tua?

In rete e nei social domina l’aggressività ed è sbagliato pensare che siano luoghi virtuali e per questo lontani dalla nostra realtà.

Sui social incontriamo persone reali, e le conseguenze delle nostre parole sono reali.

Per questo oggi, soprattutto sui social, dobbiamo stare attenti a come usiamo le parole.

Parole O_Stili ha l’ambizione di ridefinire lo stile con cui le persone stanno in Rete, vuole diffondere l’attitudine positiva a scegliere le parole con cura e la consapevolezza che le parole sono importanti.

Il Manifesto è stato poi declinato per diversi ambiti: per la politica, per la pubblica amministrazione, per le aziende, per l’infanzia, per lo sport, per la scienza e per l’inclusione.

Sul sito web puoi scaricare il Manifesto per ognuno di questi ambiti e condividerlo, affinché si generi un’abitudine ad agire e a scrivere pensando alle conseguenze.

La speranza è che il Manifesto che Parole O_ Stili ha creato e si impegna a diffondere e promuovere in tante iniziative, aiuti il web (e quindi i social) a diventare un luogo migliore, dove il rispetto reciproco sia alla base di ogni conversazione e ognuno abbia consapevolezza della portata delle proprie azioni.

Il Manifesto della Comunicazione non ostile per le aziende

Il Manifesto della Comunicazione non ostile per le aziende elenca 10 principi per un dialogo trasparente e sincero fra aziende, lavoratori, clienti e stakeholder.

I 10 principi a cui le imprese possono ispirarsi per gestire al meglio il dialogo sui social media e i rapporti online è stato realizzato dall’Associazione Parole O_Stili sotto la guida di Annamaria Testa e grazie alla collaborazione di numerose aziende, sensibili all’utilizzo di un linguaggio non ostile in rete e nella nostra quotidianità.

Consapevolezza, responsabilità, ascolto, rispetto, cura: sono solo alcune delle parole chiave che emergono nel Manifesto della comunicazione non ostile per le aziende.

Comunicazione Non Ostile per Aziende

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L’informazione online e le ultime generazioni: il Digital News Report del Reuters Institute e il caso Reddit

L’informazione online e le ultime generazioni: il Digital News Report del Reuters Institute e il caso Reddit

Qual è il legame tra l’informazione e i Millenials? Uno studio dell’istituto inglese, collegato all’Università di Oxford, ci spiega cosa cercano e come si informano le nuove generazioni. Per i più impegnati c’è Reddit, il social news che resiste alle tendenze del momento

Oramai sono anni che il mondo dell’informazione si interroga sulle esigenze dei giovani e su come si rapportano con i media tradizionali.

Giornali, radio e televisione subiscono continui cali di audience, anche tra i giovani dai 18 ai 35 anni, le generazioni Z e i Millenials.

I giovani che si intrattengono con l’informazione sembrano delimitare un solco tra la voce di un “house organ” e i new media.

A volte il loro modo di interfacciarsi con i media tradizionali sembra sfuggente, titubante e quasi disinteressato.

Potrebbe essere la figura della struttura delle testate giornalistiche, che rispecchiano formalismi e dogmi di un tempo, il motivo distanziante nei ragazzi lettori?

Forse, ma sono anche le diverse necessità dei nuovi readers a staccarsi da una lettura dei media “vecchio stile”.

Di rilievo risulta essere la ricerca fatta nel Regno Unito dal Reuters Institute for the Study of Journalism, organizzazione che fa parte dell’Università di Oxford, con il “The Digital News Report 2019”.

Il Reuters Institute for the Study of Journalism con il Digital News Report 2019

Il Digital News Report è il più grande studio comparativo internazionale al mondo che monitora l’accesso e l’impegno delle notizie online in 38 paesi.

Come evidenziato sul sito dell’istituto inglese, il rapporto del 2019 si concentra su svariate questioni che riguardano le tendenze e le prospettive del pubblico sull’informazione:

dalla fiducia sulle fonti alla disinformazione, dalle mutevoli fortune delle piattaforme dei social media al modo in cui vengono utilizzate per le notizie e molto altro.

L’ottavo rapporto annuale sulle notizie digitali del Reuters Institute si basa su un sondaggio di 75.000 utenti di notizie in 38 paesi di tutto il mondo (tra cui Europa, Americhe, Asia-Pacifico e, per la prima volta, l’Africa).

La relazione sul 2019 si scontra con un contesto globale di populismo, instabilità politica ed economica e preoccupazione per il ruolo che hanno i giganti della tecnologia nella società.

Il sondaggio esamina, inoltre, come le notizie soddisfino le esigenze dei suoi consumatori in questo ambito.

Un’anticipazione della ricerca la troviamo nella dichiarazione introduttiva del report con i due ricercatori, Antonis Kalogeropoulos e Richard Fletcher: “I media si affidano al loro pubblico sia per la loro importanza pubblica che per la loro sostenibilità economica. Indipendentemente da quanto possano essere valide le segnalazioni, se le persone non le apprezzano, è improbabile che abbia un impatto significativo sull’opinione pubblica o sulla conoscenza pubblica.”

“Allo stesso modo – dichiarano Antonis e Richard – se le persone trovano le notizie deludenti, non importa quanto orgogliosi possano essere i giornalisti del loro lavoro, le persone potrebbero non essere disposte a pagare per questo come prodotto commerciale o come servizio pubblico. Potrebbero anche essere riluttanti a sostenere i media se i leader politici cercano di reprimersi o di intimidirli”.

Digital News Report 2019

Come i giovani passano il tempo sui loro smartphone e il ruolo delle notizie (fonte: digitalnewsreport.com)

 

Millenials e Generazione Z

Dal rapporto del Reuters Institute emerge che le generazioni Z e Y (Millenials) sono propense ad accedere alle notizie in modo “facile”, sia nella parte visuale e sia nel linguaggio, che deve essere chiaro ed esplicativo.

Soprattutto l’accesso alle news deve essere istantaneo, possibilmente dal mobile in quanto è il mezzo più usato per la fruizione dei contenuti.

Il dato che emerge è la richiesta di storie che trattano temi che li coinvolgano, quali la lotta agli stereotipi, il lifestyle o la diversità.

Dal report anglosassone si nota quanto sia determinante per i ragazzi leggere racconti divertenti e che siano “utili da sapere”.

Le notizie imposte dai giornali tradizionali sono lasciate in disparte e meno considerate.

La Generazione Z e i Millenials leggono, egoisticamente, ciò che desiderano sapere e ciò che stimola loro curiosità.

Altro fattore di allontanamento dai giornali tradizionali è il format usato. Come evidenziato nell’immagine sopra, i social vengono usati poco dalle agenzie di informazione.

Le piattaforme social come Instagram e Facebook sono le prime due App in ordine di comparsa sugli schermi degli under 35.

Modi e tempi per intercettare l’attenzione dei giovani

I giovani desiderano essere coinvolti e amano tutto ciò che è “tagliato su misura” per loro, l’informazione mirata e diretta ai loro interessi.

Ecco il successo delle Newsletter, che riscuotono la fiducia dei giovani in quanto arrivano direttamente nella casella email con una selezione di notizie pensata apposta per loro.

Anche i tempi di fruizione e di accesso alle news sono diversi. I ricercatori ne hanno individutato 4 tipologie:

  1. Dedicated, il tempo riservato all’informazione in cui l’attenzione e la concentrazione sono più alte.
  2. Updated, il tempo dedicato agli aggiornamenti.
  3. Time-filer, il tempo usato tra un’attività e l’altra.
  4. Intercepted, il tempo richiesto per leggere un messaggio o una notifica inaspettati.

Rapporto tra i giovani e l’informazione

Ecco allora che risultano evidenti tre aree da considerare:

  1. Il Tempo
  2. La Persona
  3. Il Mezzo

Ma attenzione che i ricercatori, a conclusione dello studio, sottolineano un altro fattore: la non convenzionalità del lettore giovane.

La sua scelta delle notizie dipende da un mix di curiosità, desiderio personale e divertimento. E qui risiede la capacità del redattore di muoversi su più livelli comunicativi.

 

Reuters Institute England

Il Digital News Report del Reuters Institute for the Study of Journalism dell’Università di Oxford (England), Foto di Reuters Institute – ph. Jeenah Moon)

I 5 punti suggeriti dal Reuters Institute per attrarre i Millenials

Il Reuters Institute for the Study of Journalism ha riassunto in cinque punti i consigli utili per i media ad attrarre Millenials e Generezione Z.

  1. Accesso facile a contenuti e temi. In primis l’uso di un linguaggio semplice e magari con una struttura di spiegazione del testo a step in modo da rendere più fruibile la lettura.
  2. Adattare il brand giornalistico alla piattaforma usata. Usare i social per reindirizzare il medium principale crea una distorsione nel lettore. Ogni storia dovrebbe essere adattata alla piattaforma usata, pur mantenendo la cifra stilistica del giornale. Questo aiuta a stabilire un legame più forte con i lettori.
  3. Costruire nuove abitudini. Oggi il lettore è collegato in ogni momento della giornata e quindi necessita di aggiornamenti continui. Una newsletter al mattino, un riassunto a metà giornata e uno dopo la pausa pranzo potrebbe essere una soluzione.
  4. La narrazione. Concentrarsi su racconti legati a temi caldi per le nuove generazioni, che siano stimolanti per la loro curiosità.
  5. Diversificare. L’opinione generalista espressa del singolo media è vista da Millenials e Generazione Z come una forzatura. Gli articoli d’opinione e gli editoriali devono offrire diversi punti di vista in modo da dare l’opportunità ai giovani di informarsi e formarsi un’idea, ma in maniera indipendente.

Il caso di Reddit: una piattaforma che resiste alle tendenze social

Tra Snapchat e Tik Tok c’è una piattaforma che resite alle mode social. È Reddit, che compie 15 anni a giugno (fondato il 23 giugno 2005 nel Massachusetts, Stati Uniti, da Steve Huffman e Alexis Ohanian) e in Italia molti ancora non lo conoscono.

Si tratta di un forum su cui leggere qualsiasi cosa e argomento senza filtri. Al suo interno è possibile creare e mantenere attive delle aree di interesse (chiamate subreddit) che trattano contenuti multidisciplinari.

Ogni utente è un redditor e cioè colui che legge (read) e scrive (edit).

L’utente carica o linka un contenuto sul sito, ma l’aspetto diversificante è che saranno gli altri utenti a decidere se renderlo rilevante in Homepage, anche con un voto ai commenti che seguono alla pubblicazione.

Per molti è un esempio di informazione e di giornalismo partecipativi. Viene definito un sito di social news con notizie che vengono condivise con una discussione.

Tra informazione e “filter bubble”

Negli Stati Uniti gli utenti tra i 18 e i 29 anni che utilizzano le piattaforme social almeno una volta al giorno sono oggetto di una ricerca (anno di riferimento il 2019) pubblicata su PEW Research Center (articolo di Andrew Perrin e Monica Anderson – 10 aprile 2019).

Nel caso di Reddit parliamo di una fonte informativa che la Generazione Z usa proprio perché sono gli utenti stessi che confermano il successo o meno di una news. Insomma una luogo virtuale dove stare al sicuro dai filtri dei giornali e dei social.

Era il 2011 quando Eli Parisier definisce con il nome di “filter bubble” la bolla in cui siamo rinchiusi dagli algoritmi dei social che studiano i nostri interessi.

Questo perché in base ai like rilevati dai social (con 300 like si riesce a definire la personalità di un utente meglio di un genitore) ci vengono proposti online prodotti e contenuti.

Su Reddit è l’utente che decide a quale community iscriversi (subreddit): all’interno delle singole comunità ci sono regole più o meno restrittive con dei moderatori.

Forse è una finta democratizzazione, ma in realtà è l’utente che aderisce al suo aggregatore di notizie in modo del tutto volontario.

All’estero Reddit ha iniziato a collaborare con alcune testate. Nel mondo il social news raggiunge mensilmente quasi 430 milioni di lettori e in Italia (il subreddit r/Italy) si ferma a 180mila lettori.

La parola ora passa ai lettori che valuteranno se il social news Reddit è più per nerd o si avvicina al modo di concepire l’informazione, scevra da controlli e imposizioni.

 

> Vedi il Digital News Report 2019

Articolo a cura di Nicola Albi
AEsse Communication

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Foto di copertina: Ph. Jezael Melgoza per unsplash.com

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Zoom è l’app del momento per le videoconferenze. Un successo senza precedenti con alcuni punti interrogativi

Zoom è l’app del momento per le videoconferenze. Un successo senza precedenti con alcuni punti interrogativi

La tech company californiana Zoom, di Eric Yuan, ottiene un seguito senza precedenti nel mondo delle app per videoconferenze. Qualche ombra sulla privacy sembra non preoccupare il Ceo della società.

Scegliere una piattaforma per le videoconferenze e per le attività didattiche online è divenuta, già dall’inizio della quarantena dovuta al coronavirus, una necessità.

Già da gennaio Zoom, società californiana di videoconferenze, ha iniziato a proporsi al pubblico mondiale.

Quando il COVID-19 si era diffuso in Cina e sembrava rimanere circoscritto, Zoom Video Communication di San Jose in California (USA) con la sua applicazione per iOS ha cominciato ad essere scaricata a ritmi vorticosi.

In una sola settimana l’applicazione è balzata in testa alla classifica dei download gratuiti nell’App Store di Apple.

Pochi giorni prima, secondo Apptopia Inc. società di Boston (USA) specializzata nell’analisi delle tendenze e delle metriche di mercato delle maggiori app e publisher di telefonia mobile del mondo, Zoom è stata scaricata da più di 600 mila persone.

Un record nello scenario delle piattaforme per le videochat.

Una platea diffusa

Tra i milioni di persone, che hanno iniziato a usufruire di questo servizio, ci sono studenti liceali, universitari e di ogni grado di istruzione.
Dato il perdurare del periodo di isolamento interi atenei e scuole si sono spostate sulla didattica telematica.

Sono questi gli anni in cui gli adolescenti, della generazione successiva ai Millenials, si definiscono della Generazione Z, cioè zoomer: ora lo sono in senso letterale.

E così, mentre il mercato azionario precipita, le azioni di Zoom si impennano portando la valutazione della società a toccare i 29 miliardi di dollari.

Questo risultato è frutto anche di una previsione fatta dalla società fin da gennaio, quando il Coronavirus ha cominciato a diffondersi in Cina.

Per l’effetto domino della propagazione e della inevitabile quarantena era pensabile che la clientela principale, gli impiegati in videoconferenza, avrebbe utilizzato in modo massiccio la piattaforma da casa.

Così gli specialisti di Zoom hanno iniziato un massiccio programma di lezioni di addestramento gratuite.

La Cina, per esempio, ha eliminato il tetto dei 40 minuti per le videoconferenze senza costi.

Ma Zoom non si è imposta solo nell’ambito dello smart working.

Sta diventando un fenomeno culturale, tanto che le videochat sono usate per organizzare feste, concerti, esposizioni artistice e funzioni religiose.

In azienda nessuno pensava di divenire un meme.

 

Tecnologie web

Zoom si conferma l’app più scaricata per facilità e usabilità. L’App è già in dotazione a molte scuole e università di tutto il mondo (foto da pixabay.com)

 

L’app Zoom spopola tra i ragazzi

Gli utilizzi di Zoom sono i più vari. Su Facebook, un gruppo di ragazzi confinato in casa, il Zoom Memes for Self Qaranteens, ha superato i 150mila membri in meno di una settimana.

I genitori dei ragazzi di prima media della scuola di Tosenbaum Yeshiva of North Jersey hanno organizzato la ricreazione dei figli sulla piattaforma.

Gli universitari americani hanno iniziato a fissare appuntamenti al buio su Zoom e i centri benessere offrono esercizi di respirazione e di Yoga online.

Harvard tiene lezioni attraverso Zoom, sia per i corsi di laurea triennali che per quelli specialistici.

“Twitch sta a YouTube come Zoom potrebbe stare a TikTok”, spiega Lucas Moiseyev, uno studente universitario statunitense, che ha rilasciato un’intervista pubblicata in un giornale italiano*.
Lo studente Moiseyev pensa che Zoom abbia le potenzialità per entrare nella vita quotidiana della Gen-Z anche dopo l’attuale quarantena, sempre che inserisca più funzioni social.

Un servizio di messaggeria diretta con filtri per le foto ed effetti video, tipo quelli presenti su TikTok e Snapchat, potrebbe spingere molti nuovi utenti a ritenere Zoom come riferimento per i loro incontri virtuali.

La concorrenza delle altre piattaforme

Nel panorama delle piattaforme di videochat esistono già altri concorrenti. Skype (nata nel 2003), Google Hangouts, Facebook Messenger e Face Time di Apple.

Marco Polo, app di video chat creata da Joya Comminication, consente agli utenti di comunicare come si stesse usando un walkie talkie. Si inviano i propri video e si aspetta che il ricevente risponda allo stesso modo.

Perché scegliere Zoom?

La risposta probabilmente è nella facilità con cui ci si collega a più persone in contemporanea e, inoltre, Zoom è già in dotazione a molte scuole e università.

Durante la quarantena Zoom ha esteso la possibilità di fare chiamate illimitate gratis fino a massimo 100 partecipanti.

In marzo l’app ha raggiunto i 2,4 milioni di download con una crescita del 1300% da metà febbraio 2020. Sono 20 gli stati in USA che utilizzano Zoom per la didattica online.

Elemento differenziante è quello del pulsante Touch Up My Appearance (ritocca il mio aspetto): consente di applicare un effetto flou all’immagine video, uniformando il colore della pelle dell’utente, come un filtro di Instagram.

Ci sono anche gli sfondi personalizzati per coprire ambienti poco presentabili online durante una conferenza.

Zoom ha un look di tendenza e i giovani sono attenti nell’uso di nuove tecnologie che seguono i trend del momento.

Di base c’è che la piattaforma è semplice nell’usabilità. Per questo viene scelta tra i software per videoconferenza.

Leggi anche > Smart working: 8 consigli per lavorare da casa in modo produttivo

Qualche ombra sulla Privacy

Un momento di ascesa, quello della tech company di Eric Yuan, ex manager di Cisco Systems, fondata nel 2011.

Il suo dilagante utilizzo solleva, però, dei timori legati alla privacy, la sicurezza per i più giovani e la moderazione dei contenuti.

Le condizioni di servizio includono delle clausole che potrebbero tradursi in un’intrusione nella vita privata degli utenti tipo l’utilizzo dei dati per le pubblicità mirate: in questo Zoom è da valutare con attenzione.

Da un’analisi della giornalista Mara Accettura** si rileva che Zoom, fino a qualche settimana fa (la prima settimana di aprile 2020), inviava a Facebook i dati personali degli utenti relativi a città, lingua, indirizzo IP, fuso orario e tipo di dispositivo. A loro insaputa.

In seguito ad una inchiesta dell’FBI (Federal Bureau of Investigation), la società si è scusata ed ha aggiornato l’app con una versione più sicura.

Il sito investigativo The Intercept (organizzazione giornalistica di inchiesta di New York) ha dichiarato che i video di Zoom non usano crittografia end-to-end tra gli utenti delle conference call e quindi la società proprietaria dell’app potrebbe accedere ai meeting. Pertanto sussiste la possibilità di un’attività di spionaggio.

Il 28 marzo SpaceX, società di Elon Musk, ha disabilitato i device del suo staff per paura di non avere la sicurezza e temere l’irruzione di hacker e troll durante le conferenze.

Il Ceo di Zoom, Eric Yuan, si è nuovamente scusato nel suo blog e si è impegnato a lavorare sui problemi di sicurezza e privacy fino a luglio, quando pubblicherà un rapporto sulla trasparenza supervisionato anche da terze parti.

 

Video conferenze

I rischi di violazione della privacy sono da valutare attentamente. Sul sito di aziendadigitale.eu ci sono utili consigli

Consigli per la privacy di agendadigitale.eu

Come mettersi al riparo da questi rischi?

Un consiglio, ricorrente, può essere quello di usare applicativi che hanno dietro aziende più strutturate, abituate a ragionare in termini di privacy by design/default, come Microsoft Teams, Skype (sempre di MS), Google Hangouts Meet.

Ma alcuni potrebbero trovarle limitate rispetto alla capacità di Zoom di ospitare così tante persone in contemporanea e ai suoi strumenti di smart working/e-learning.

Si può usare qualche rimedio per tutelarsi su Zoom.

Mettere una password ai meeting

Consiglio primario: impostare una password complessa per tutte le riunioni e i webinar.

Abilita la funzione Sala d’attesa

La funzione Sala d’attesa consente all’ospitante di controllare quando ciascun partecipante si unisce alla riunione.

Come organizzatore della riunione, puoi ammettere i partecipanti uno a uno o tenere tutti i partecipanti nella sala di attesa virtuale e ammetterli in massa.

Ciò richiede più lavoro da parte dell’host, ma consente ai partecipanti di aderire solo se lo ammetti specificamente.

Disabilita Partecipa prima dell’host

Se stai pianificando una riunione in cui verranno discusse informazioni riservate, è meglio lasciare Abilita partecipazione prima dell’ospite.

L’opzione Partecipa prima dell’host può essere utile per consentire ad altri di continuare una riunione se non si è disponibili per avviarla, ma con questa opzione abilitata, la prima persona che si unisce alla riunione verrà automaticamente impostata come ospitante e avrà il pieno controllo su l’incontro.

Limita la condivisione dello schermo all’host

Per impostazione predefinita, la condivisione dello schermo nelle riunioni Zoom è limitata all’host. Puoi modificarlo se devi consentire ad altri partecipanti di condividere i loro schermi. Attenzione a chi abilitare.

Lo scopo è consentire di condividere e collaborare evitando però zoombooming: impedire ai partecipanti indesiderati di interrompere la riunione con una condivisione intrusiva, con contenuti pornografici o altro, com’è successo.

Sicurezza delle riunioni durante la pianificazione delle riunioni di Zoom utilizzando il calendario di Outlook

Se aggiungi una riunione Zoom al tuo calendario o crei una riunione Zoom nel tuo calendario utilizzando il plug-in Zoom Outlook, tieni presente che la voce del calendario può includere la password della riunione Zoom.

Se hai impostato il tuo calendario in modo che sia aperto ai colleghi per visualizzare i dettagli delle tue riunioni, questo può esporre la password a chiunque visualizzi il tuo calendario.

È possibile proteggere la password rendendo privata la voce del calendario o modificando la voce per rimuovere la password della riunione di Zoom.

“Chiudi a chiave” la tua sessione

I controlli dell’host Zoom consentono all’host o al co-host di bloccare la riunione, una volta che tutti i partecipanti hanno aderito. Così evitiamo intrusi

Una nuova piattaforma di videochat, quella di Zoom, che si inserisce nel panorama delle app divenute indispensabili in questo frangente storico.

D’altra parte rimanere collegati a colleghi o compagni di scuola e amici è un momento di socialità, seppur virtuale.

 

Articolo a cura di Nicola Albi
AEsse Communication

*Settimanale Supplemento “D” magazine de La Repubblica n.1186.
** Intervento su “D” magazine de La Repubblica n.1186, titolo “Attenti ai troll”.

Foto di copertina di William Navarro su Unsplash.com

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Smart Working: 8 consigli per lavorare da casa in modo produttivo. Scopri i dati delI’Indagine di InfoJobs sullo Smart Working ai tempi del Coronavirus

Smart Working: 8 consigli per lavorare da casa in modo produttivo. Scopri i dati delI’Indagine di InfoJobs sullo Smart Working ai tempi del Coronavirus

L’emergenza epidemiologica causata dal Coronavirus ha determinato il ricorso per molti di noi allo Smart Working, il cosiddetto “lavoro agile”, che si svolge prevalentemente nella nostra casa.

Per Smart Working si intende una modalità lavorativa dipendente in cui non ci sono vincoli di orari e in cui non vi è una postazione fissa, ed è questo che lo differenzia dal “telelavoro”.

Anche se per molti si tratta di un modo di lavorare del tutto nuovo, in realtà lo Smart Working è stato adottato negli ultimi anni da un numero sempre maggiore di aziende, grazie anche all’inquadramento normativo con la Legge 81/2017.

Flessibilità, autonomia, responsabilizzazione e orientamento ai risultati: queste le parole chiave che sintetizzano la filosofia (e la pratica) che sta alla base dello Smart Working, che può essere applicato con numerosi vantaggi non solo all’interno delle aziende, ma anche all’interno della pubblica amministrazione.

Ma vediamo meglio cos’è lo Smart Working, come funziona e qualche consiglio per lavorare al meglio dalla propria abitazione.

 

Lo Smart Working: una rivoluzione culturale

Lo Smart Working scardina alla base consuetudini e approcci tradizionali del mondo del lavoro subordinato: possiamo leggerlo come una rivoluzione culturale e organizzativa del processo lavorativo.

Probabilmente sarà il modo di lavorare del futuro, basato su una cultura orientata ai risultati e su una valutazione legata alle reali performance.

Interessante la definizione che il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali dà dello Smart Working:

“lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.

Nel 2015, l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ne dava la seguente definizione:

“Si tratta di una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”

L’approccio lavorativo dello Smart Working presuppone quindi un profondo cambiamento culturale e una revisione radicale del modello organizzativo dell’azienda, sia essa pubblica o privata.

Il ripensamento e la riorganizzazione delle modalità lavorative avvengono non solo fuori, ma anche all’interno dell’azienda e questo si ripercuote anche sull’organizzazione degli spazi aziendali, che devono essere sempre più ispirati ai principi di flessibilità, virtualizzazione e collaborazione tra le persone.

 

smart working

Lo Smart Working offre numerosi vantaggi alle aziende e al lavoratore

 

Lavorare da casa: 8 consigli utili

Lavorare da casa ha certamente i suoi vantaggi, come la flessibilità di orari e luogo e il non doversi spostare. Ma come ogni situazione c’è anche l’altro lato della medaglia, come la facilità a distrarsi.

Quando si lavora da casa si rischia o di fare troppo oppure di essere disorganizzati e non rispettare le scadenze. Le distrazioni sono molte, soprattutto per chi ha figli.

Riporto di seguito alcuni consigli che possono essere d’aiuto a chi, in questi mesi, lavora da casa ma anche a chi, per tipologia di attività, ha impostato la sua professione da casa.

1. Scegli un angolo della casa e trasformalo nella tua postazione di lavoro

Avere in casa una postazione per svolgere il proprio lavoro, un angolo ben organizzato dove tenere tutto ciò che serve a portata di mano, è molto importante. Meglio se è un luogo luminoso e lontano da fonti di distrazione come frigorifero e televisione.

2. Stabilisci un orario di lavoro, comprese le pause

Bisogna darsi degli orari, proprio come in ufficio e rispettare le varie pause, specie per chi lavora seduto e al pc. Questa regola è molto importante, altrimenti si rischia di lavorare tutto il giorno (o di concludere poco). Ovviamente il tipo di attività incide, ma l’obiettivo non è lavorare di più ma lavorare meglio ed essere produttivi.

3. Vestiti come se dovessi uscire

Non lavorare in pigiama, vestiti e non lasciarti andare: l’immagine professionale è importante per se stessi e per gli altri. Anche perché può capitarti la videochiamata improvvisa.

4. Utilizza un buon tool per organizzarti al meglio

Per organizzare il proprio lavoro esistono tanti strumenti, alcuni gratis. Trello, Basecamp e Workzone, per citarne alcuni. Questi strumenti di project management servono a:

  • pianificare un progetto
  • condividerlo con colleghi o clienti
  • fissare scadenze
  • lavorare in team
  • definire il budget

Insomma, tutto quello che occorre per pianificare il lavoro anche con altri collaboratori.

5. Fissa le scadenze e rispettale

Quando si lavora da casa si tende a fissare delle scadenze a breve perché si pensa di avere più tempo rispetto a quando si lavora in ufficio. Ma non è così, non dobbiamo pensare di dedicare tutto il tempo al lavoro: abbiamo degli orari da rispettare e le pause servono proprio per ricaricarci.

Sicuramente per progetti importanti si possono fare delle eccezioni, ma è giusto che questa resti un’eccezione e non sia la regola.

Segnati il tempo che ti serve per portare a termine un progetto e usalo come esempio per fissare le tue scadenze.

6. Rispetta le pause e usale per muoverti

Per chi svolge un lavoro sedentario, fare attività fisica è un dovere. Il minimo è almeno 30 minuti di camminata al giorno e un po’ di stretching. Puoi fare gli esercizi a casa, ma se hai la possibilità esci all’aperto per camminare (purtroppo questo è il periodo meno adatto): ti aiuta a liberare la mente e a riprendere il lavoro con meno stanchezza.

7. Mangia in modo sano e bevi acqua

Lavorare da casa offre un altro grande vantaggio: potersi preparare dei pranzi salutari. Verdura, legumi, frutta e frutta secca non devono mai mancare: in questo modo si evitano problemi di sonnolenza e concentrazione. Ricordati di bere almeno un litro e mezzo di acqua al giorno (la classica bottiglietta d’acqua accanto al pc è sempre una buona idea).

8. Fissa un giorno della settimana per le Skype-call con colleghi e clienti

Troppe chiamate durante la settimana ti distraggono e deconcentrano dal tuo progetto. Meglio fissare un unico pomeriggio e concentrare le chiamate per poi riprendere il lavoro con più tranquillità.

Sicuramente non è facile mettere in pratica queste abitudini per lavorare da casa: i cambiamenti richiedono del tempo per imparare ad adattarsi a nuove realtà. Ma con l’impegno si raggiungono sempre dei buoni risultati.

 

Diffusione dello Smart Working: aziende a PA

Il percorso verso lo Smart Working nella PA è ancora all’inizio, anche se in crescita: infatti nel 2018 in Italia già il 56% delle grandi aziende aveva avviato iniziative strutturate di Smart Working, contro l’8% delle amministrazioni pubbliche (dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano).

Per favorire la diffusione dello Smart Working centrale è il tema della comunicazione, sia interna (mostrando i vantaggi dell’approccio) che esterna, attraverso la diffusione e la conoscenza delle buone pratiche realizzate.

Sono disponibili da luglio 2019 anche i primi dati sullo stato di avanzamento dello Smart Working nella PA, diffusi nell’ambito del progetto “Lavoro agile per il futuro della PA – Pratiche innovative per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro“, finanziato dai Fondi Strutturali Europei.

I dati parlano di:

  • un 28% di amministrazioni già oltre la prima sperimentazione, quindi in una fase di sviluppo dei progetti di lavoro agile;
  • un 31% con sperimentazioni in corso;
  • un 41% in fase di avvio delle sperimentazioni.

In realtà quest’ultimo mese di sperimentazione di Smart Working (marzo-aprile 2020) ha trovato ampi consensi nel mondo dei gestori delle risorse umane, anche se all’inizio nessun capo del personale avrebbe voluto addentrarsi in una tale esperienza. Anche quelle realtà fino a pochi giorni prima impegnate in continue riunioni operative hanno scoperto le possibilità offerte dalle videoconferenze, anche collettive.

Chi pensava che solo il contatto tra capo e sottoposto potesse garantire controllo e produttività solo tramite contatto diretto (e dunque in azienda) si è dovuto ricredere.

Da un approfondimento sul Lavoro agile de Il Sole 24 ORE oggi sappiamo che:

  • ENI ha instaurato il lavoro agile per 16mila dipendenti in tutta Italia;
  • ENEL sono 36mila i dipendenti connessi al proprio team;
  • TIM ha coinvolto nello smart working più di 32mila dipendenti;
  • VODAFONE ha come obiettivo la totalità dei dipendenti in smart working (ora raggiunge il 95%);
  • MEDIASET ha 2,5mila dipendenti in lavoro agile;
  • CRIF, 5mila dipendenti in 4 continenti.

Ulteriori approfondimenti e casi sulla Guida de Il Sole 24 ORE.

 

Smart Working

Smart Working in Italia, prospettive per il futuro (Guida de Il Sole 24 ORE, fonte dati Osservatorio del Politecnico di Milano)

 

L’indagine di InfoJobs sull’attuale situazione di Smart Working in Italia

I dati emersi dall’indagine di InfoJobs in Italia rispecchiano un Paese che ha risposto all’emergenza utilizzando lo Smart Working in modo ampio: il 72% delle aziende ha messo a disposizione in tempi brevi mezzi e strumenti per permettere ai dipendenti e collaboratori di proseguire il lavoro da remoto.

Tuttavia, non tutte lle funzioni possono essere svolte in Smart Working.

Dai dati di InfoJobs risulta quindi:

  • i lavoratori italiani in smart working sono il 15%;
  • il 45% (50% per le donne) risulta a casa senza reddito;
  • il 25% risulta in congedo;
  • il 13% si reca ancora sul luogo di lavoro.

Ad oggi:

  • il 56% delle aziende che hanno attivato lo smart working dichiara di applicarlo per la prima volta;
  • il 29% l’ha esteso a più figure o su più giorni;
  • il 79% dei lavoratori afferma di adottare lo Smart Working per la prima volta;
  • per il 14,5% sono solo cambiate le modalità di fruizione;
  • per il 6,5% non c’è stato alcun cambiamento rispetto a prima.

Indagine Smart Working

Smart Working, Indagine InfoJobs, aprile 2020

 

Smart Working e tecnologia

La tecnologia (pc, tablet e smartphone) ha un ruolo importante nello Smart Working.

Come abbiamo detto in questo approfondimento, lo Smart Working implica anche una riorganizzazione dell’ambiente di lavoro dove la tecnologia ne diventa parte integrante ed è grazie a essa che forme di lavoro collaborativo sono possibili.

Secondo la legge il datore di lavoro non deve necessariamente mettere a disposizione del lavoratore le tecnologie per lavorare da casa: la logica è quella del Bring your own device (BYOD), ovvero la possibilità di usare i propri dispositivi personali fuori (e dentro) il posto di lavoro.

Ciò implica un’attenzione particolare ai temi della sicurezza, perché diventa fondamentale oggi, come non mai, proteggere sia i dati aziendali sia pc e tablet del dipendente.

 

 

Articolo a cura di Sara Soliman
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