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“L’io è il più pidocchioso dei pronomi” ci ricorda Gadda nelle sue Inderogabili Norme per la redazione di un testo radiofonico

A oltre 60 anni dalla loro pubblicazione, le norme per la redazione di un testo radiofonico di Carlo Emilio Gadda rimangono un punto di riferimento per chiunque si occupi di comunicazione, in radio ma anche sui social e blog.

Dopo aver parlato delle regole di scrittura suggerite da Umberto Eco per scrivere bene in italiano e aver trattato i consigli di Calvino per scrivere con leggerezza, vediamo insieme “le inderogabili norme” stilate da Gadda per la RAI, guida di comportamento diretta ai dipendenti RAI e dall’azienda stessa commissionate (precisamente dal Terzo Programma) allo scrittore lombardo.

Tali regole vennero stampate nel 1953 sotto forma di opuscolo completamente anonimo e adespoto (senza editore responsabile) tanto era il timore dell’autore di poter infastidire qualcuno, cosa che accadde.

Solo dopo molti anni – nel 1991 – l’opuscolo viene pubblicato a cura di Dante Isella in Edizioni Garzanti.

L’edizione di Ungarelli è invece disponibile in anastatica dal 1971 e porta il titolo “Gadda al microfono. L’ingegnere e la Rai (1950-1955)” a cura di Giulio Ungarelli (Nuova Eri-Edizioni Radio Italiana 1953).

Gadda delinea le buone norme per un redattore radiofonico, ma a leggerlo oggi ci si rende conto che molte delle sue norme andrebbero rispettate, ancora oggi in ogni aspetto della comunicazione, anche quello scritto.

Scrive Gadda nelle prime righe del Decalogo: “La mancata osservanza di dette norme e cautele, può rendere intrasmissibile uno scritto anche se per altri aspetti eccellente”. 

Norme inderogabili dunque, alle quali vanno aggiunti alcuni “avvertimenti” o “cautele” presenti nell’introduzione, ma altrettanto importanti.

Riporto parti intere (mi sono permessa di evidenziare con il grassetto l’argomento della norma) dall’edizione in anastatica, del testo scritto da Gadda, un testo di piacevole lettura, sintetico, ironico e dai contenuti di centrale importanza per una buona comunicazione.

 

Carlo Emilio Gadda_citazioni

 

Norme per la redazione di un testo radiofonico

Dal testo originale in anastatica (del quale ho una copia dai tempi dell’università):

Il testo va costruito con periodi brevi e per la durata massima di 15 minuti.

In 15 minuti Gadda riconosce dunque la sopportabilità massima del parlato di un unica voce.

Nessuna conversazione da trasmettere «a una voce» può superare questo limite.

Ove si preveda una conversazione di maggior durata, bisogna costruirne il testo in modo da poterlo «dire» a due voci, a tre voci, a più voci. Chi predispone il testo deve elaborarlo in forma di dialogo.

Fondamentale è poi:

Evitare l’eccesso di autorevolezza e il tono dottrinale o accademico

Compito del presentatore è quello di rendere, del commemorato o dei commemorati, un’immagine evidente e in quanto possibile obiettiva, non quello di insabbiarne l’effigie col polverino della propria autorità.

Se accade che la conversazione abbia fonti prevalentemente bibliografiche o verta su tema dottrinale o comunque erudito, è bene dissimulare la qualità delle fonti o la natura del tema.


Il pubblico
che ascolta una conversazione è un pubblico per modo di dire. In realtà si tratta di «persone singole», di mònadi ovvero unità, separate le une dalle altre. 

Ogni ascoltatore è solo: nella più soave delle ipotesi è in compagnia di «pochi intimi». Seduto solo nella propria poltrona, dopo aver inscritto in bilancio la profittevole mezz’ora e la nobile fatica dell’ascolto, egli dispone di tutta la sua segreta suscettibilità per potersi irritare del tono inopportuno onde l’apparecchio radio lo catechizza.

È bene perciò che la voce, e quindi il testo affidatole, si astenga da tutti quei modi che abbiano a suscitare l’idea di un’allocuzione compiaciuta, di un insegnamento impartito, di una predica, di un messaggio dall’alto.

L’eguale deve parlare all’eguale, il libero cittadino al libero cittadino, il cervello opinante al cervello opinante. Il radiocollaboratore non deve presentarsi al radioascoltatore in qualità di maestro, di pedagogo e tanto meno di giudice o di profeta, ma in qualità di informatore, di gradevole interlocutore, di amico.

All’atto di redigere il testo di un parlato radiofonico si dovrà dunque evitare in ogni modo che nel radioascoltatore si manifesti il cosiddetto «complesso di inferiorità culturale», cioè quello stato di ansia, di irritazione, di dispetto che coglie chiunque si senta condannare come ignorante dalla consapevolezza, dalla finezza, dalla sapienza altrui.
Questo «complesso» determina una soluzione di continuità nel colloquio tra il dicitore e l’ascoltatore, crea una zona di vuoto, un «fading» spirituale nella recezione.

Nell’introduzione alle regole Gadda sottolinea dunque:

A – Astenersi dall’uso della prima persona singolare «io». Il pronome «io» ha carattere esibitivo, autobiografante o addirittura indiscreto. Sostituire all’ «io» il «noi» di eimbro resocontistico-neutro, o evitare l’autocitazione.

Al giudizio: «Io penso che la “Divina Commedia” sia l’opera maggiore di Dante», sostituire: «La “Divina Commedia” è ecc.»;

B – Astenersi da parole o da locuzioni straniere quando se ne possa praticare l’equivalente italiano. Usare la voce straniera soltanto ove essa esprima una idea, una gradazione di concetto, non per anco trasferita in italiano. Per tal norma inferiority-complex, nuance, Blitz-Krieg e chaise-longue dovranno essere sostituiti da complesso d’inferiorità, sfumatura, guerra lampo e sedia a sdraio: mentre sefl-made man, Stimmung, Weltanschaung, romancero, cul-de-lampe e cocktail party potranno essere tollerati;

C – Evitare gli sterili elenchi dei nomi di persona quando non si possono caratterizzare o comunque definire le persone chiamate in causa.

D – Operare analogamente con le date. In un esposto di carattere storico le date costituiscono opportuno ammonimento, gradito appoggio e gradita eccitazione per la memoria. Tali appaiono al viaggiatore le indicazioni chilometriche.

E – Inibirsi la civetteria del dare per comunemente noto quello che noto comunemente non è. A nessun uomo, per quanto colto, si può chieder di essere una enciclopedia. I lemmi dell’enciclopedia rappresentano la fatica di migliaia di collaboratori;

F – Entrare subito o pressoché subito in medias res: non tener sospeso l’animo del radioascoltatore con lunghi preamboli, con la vacuità di premonizioni superflue che il valore cioè il costo del tempo del radioparlato sono ben lontani dal giustificare, dall’ammettere.

 

Carlo Emilio Gadda_citazioni

 

Ciò avvertito, ecco le regole generali assolute per la stesura di ogni testo radiofonico, generali cioè valide per qualunque tipo di testo radiofonico:

 

1 . Costruire il testo con periodi brevi: non superare in alcun caso, per ogni periodo, i quattro righi dattiloscritti; attenersi, preferibilmente, alla lunghezza normale media di due righi, nobilitando il dettato con i lucidi e auspicati gioielli dei periodi di un rigo, mezzo rigo. 

2. Procedere per figurazioni paratattiche, coordinate o soggiuntive, anziché per figurazioni ipotattiche, cioè per subordinate (causali, ipotetiche, temporali, concessive).(…)

3. Il tono gnomico e saccadé che può risultare da un siffatto incanalamento e governo della piena (di idee) non dovrà sgomentare preventivamente il radiocollaboratore. Una dopo l’altra le idee avranno esito ordinato e distintamente percepibile al radioapparecchio: una fila di persone che porgono il biglietto, l’una dopo l’altra, al controllo del guardiasala.
La consecuzione delle idee si distende nel tempo radiofonico e deve avere il carattere di un «écoulement», di una caduta dal contagocce. Ogni tumultuario affollamento di idee nel periodo sintattico conduce al «vuoto radiofonico».

4. Sono perciò da evitare le parentesi, gli incisi, gli infarcimenti e le sospensioni sintattiche. La regìa si riserva di espungere dal testo parentesi e incisi e di tradurli in una successione di frasi coordinate. Una parentesi di più che sei parole è indicibile al microfono. L’occhio e la mente di chi legge arrivano a superare una parentesi, mentre la voce di chi parla e l’orecchio di chi ascolta non reggono alla impreveduta sospensione. (…)

5. Curare i passaggi di pensiero e i conseguenti passaggi di tono mediante energica scelta di congiunzioni o particelle appropriate. (…)

6. Evitare le litòti a catena, le negazioni delle negazioni. La litòte semplice – negare il contrario di quel che si intende affermare – è gentile e civilissima figura. (…)

Alla seconda negazione la mente per quanto salda e agguerrita dell’ascoltatore si smarrisce nella giungla dei «non». (…)

7. Evitare ogni infelice ricorso a poco aggiudicabili pronomi determinativi o disgiuntivi o numerali o indefiniti, a modi qualificanti o indicanti comunque derivati o desunti dal pronome o dal numero: quello-questo, l’uno-l’altro, il primo-il secondo, esso, quegli, chi, ognuno, il quale, qualsivoglia d’essi, egli, ella, quest’ultimo. (…)

Deve apparir chiaro in su le prime a quali termini di una serie enunciata i detti pronomi si riferiscono. In caso contrario è meglio ripetere il termine, cioè il nome. (…)

8. Evitare le rime involontarie, obbrobrio dello scritto, del discorso, ma in ogni modo del parlato radiofonico. Una rima non voluta e inattesa travolge al ridicolo l’affermazione più pregna di senso, il proposito più grave. La regìa si riserva la facoltà di emendare dal vezzo d’una rima il testo che ne andasse eventualmente adorno.

9. Evitare le allitterazioni involontarie, sia le vocaliche sia le consonantiche, o comunque la ripetizione continuata di un medesimo suono. Le allitterazioni sgradevoli costituiscono inciampo a chi parla, moltiplicano la fatica e la probabilità di errore (pàpera). Ciò che è peggio interrompono l’ascolto con dei tratti non comprensibili, e non compresi di fatto.(…)

Ma il parlato radiofonico non è pretesto o supporto a una frase musicale; deve essere compreso per se stesso; il suo valore deriva unicamente dal contenuto logico. (…)

10. Evitare le parole desuete, i modi nuovi o sconosciuti, e in genere un léssico e una semantica arbitraria, tutti quei vocaboli o quelle forme del dire che non risultino prontamente e sicuramente afferrabili. Figurano tra essi:
a) i modi e i vocaboli antiquati;

b) i modi e i vocaboli di esclusivo uso regionale, provinciale, municipale;

c) i modi e i vocaboli, talora arbitrariamente introdotti nella pagina, della supercultura (p. e. della supercritica), del preziosismo e dello snobismo;

d) i modi e i vocaboli delle diverse tecniche; della specializzazione;

e) i modi e i vocaboli astratti.

11. Evitare le forme poco usate e però «meravigliose» della flessione, anche se provengono da radicali (verbali) di comune impiego. Non tutti i verbi sono utilmente coniugabili in tutti i tempi, modi e persone. (…)

Tali mostri (agiamo, scelsero) sono figli legittimi della coniugazione, ma la legittimità dei natali non li riscatta dalla mostruosità congenita.

 

Carlo Emilio Gadda, Norme per la redazione di un testo radiofonico, ERI (Edizioni Radio Italiana) 1953.

In una visione purista della lingua italiana, Gadda consiglia di guardarsi dall’uso dei forestierismi, che causerebbero la morte delle nostre parole. Sono tollerabili, secondo l’autore, solo le parole straniere che non hanno l’equivalente in italiano.

Le norme sono, nel loro insieme, un invito alla sobrietà e alla semplicità di espressione, nella convinzione che per risultare piacevoli all’ascoltatore è necessario mettersi sullo stesso piano e instaurare un tipo di comunicazione empatica. Per questo motivo intramontabili.

Creo e gestisco contenuti per blog e siti web e scrivo testi ottimizzati SEO per un migliorarne il posizionamento sui motori di ricerca.

Da qualche anno tengo Corsi di Comunicazione e scrittura per il web per scuole e privati.

Ho una laurea magistrale in editoria e giornalismo, amo da sempre leggere e andare in montagna, palestra di vita.

Sara Soliman

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