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Il video è davvero per tutti? Consigli per registrare video brevi e di qualità

Il video è davvero per tutti? Consigli per registrare video brevi e di qualità

Potente alleato anche per la comunicazione aziendale, il video deve essere ben fatto, altrimenti meglio evitare

Negli ultimi anni video e dirette social sono i protagonisti della comunicazione. 

Ancor più del 2016 (anno in cui i video, a partire dagli influencer, venivano pubblicati sul web) oggi sono proprio i video a trovare un grande riscontro, anche nella comunicazione aziendale.

I video stanno diventando un mezzo comunicativo molto potente, ma quelli che funzionano oggi sui social sono molto diversi dai video di 5 o anche di quelli di 3 anni fa.

Da TikTok, alla rapida diffusione dei Reels su Instagram al debutto di YouTube Shorts (parte di YouTube dove è possibile guardare, registrare e condividere video di massimo 60 secondi) ciò che accomuna le piattaforme video più amate e usate sono la velocità di fruizione e il formato verticale.

Proviamo insieme a capire perché i video funzionano e vediamo qualche utile consiglio per registrare contenuti di qualità.

Utilità dei video

I video, mentre raccontano, emozionano e coinvolgono e possono così diventare un potente alleato anche per le aziende che, grazie ai siti web e ai social media, possono raggiungere un ampio pubblico.

Se fatti bene, i video posso essere utilizzati per:

  • Far conoscere il tuo brand, la tua attività e i tuoi prodotti. Presentare le loro particolarità e il loro funzionamento;
  • Presentare l’azienda attraverso testimonianze o interviste;
  • Comunicare eventi, fiere di settore, manifestazioni;
  • Fare formazione;
  • Attrarre nuovi clienti sul tuo sito web: dopo aver visto il video una persona può essere incuriosita da quello che proponi decidendo quindi di cercare altre informazioni direttamente sul tuo sito, e magari contattarti direttamente.

Sia che tu abbia una grande realtà aziendale o una piccola attività ciò che conta è riuscire a realizzare dei brevi video, semplici ma concreti, dove presenti nel modo migliore i tuoi prodotti o servizi.

come registrare video di qualità

Perplessità

Non nascondo la mia perplessità. I video bisogna saperli fare. E questo significa che l’improvvisazione rende raramente un buon risultato.

Per essere credibili servono dunque un progetto e alcuni accorgimenti, quali la cura del tono di voce e della mimica facciale, la cura del contesto in cui si svolgono le riprese e la mancanza di rumori di sottofondo.

L’avere poi una bella presenza certo non guasta.

I contenuti contano, ma qualcosa di importante detto male non arriverà mai a chi ascolta.

Bisogna catturare l’attenzione e convincere: sono necessarie empatia, autorevolezza e capacità di gestire i tempi creando un ritmo che trascina.

Parlo anche per esperienza personale. Tempo fa ho seguito un corso di Grafica e Design per la multimedialità il cui progetto consisteva nell’impostare un sito web su un argomento di interesse personale da implementare con pubblicazioni di video autoprodotti.

Ti posso assicurare che girare un video non è affatto semplice: si prova e si riprova perché, in quel minuto, c’è sempre qualcosa che non è andato come si vorrebbe.

Come fare un video

6 consigli da YouTube per registrare, montare e pubblicare video brevi per i social

1. Registra sempre con buona luminosità e audio. Ogni video deve essere di buona qualità, ne va della nostra credibilità e immagine aziendale.
Un contenuto registrato con cattiva qualità audio o video può funzionare solo se a essere ripreso è ad esempio un video di cronaca registrato in diretta, ossia qualcosa di incredibile e irripetibile.

2. La durata dovrà essere adeguata allo scopo del video: più un video é lungo, meno possibilità ha di essere visto per intero.

3. Attira l’attenzione di chi guarda fin dai primi secondi. La parte migliore di quello che devi dire o mostrare deve essere messa all’inizio.

4. Cura anche i testi che accompagnano il video, dalle descrizioni ad eventuali sottotitoli. Il linguaggio deve essere informale, le frasi scorrevoli ed è da evitare il tono accademico.

5. Vince l’autenticità. Un profilo è premiato dalla costruzione di una propria identità ben precisa, a cui restare fedeli e soprattutto in cui mostrarsi per quello che si è senza fingere di essere altro.
Cerca di mantenere il tuo stile anche seguendo le tendenze.

6. Come per tutti i contenuti che si diffondono in rete cerca di avere costanza. Puoi pubblicare una o due volte a settimana, l’importante è che tu sia regolare.

6 consigli per registrare video di qualità
Guarda, ad esempio, i video di quei personaggi che funzionano in rete.

Davanti alla telecamera c’è qualcuno che sa cosa dire (anche se poco) ma quel che conta è che lo dice benissimo: sono quei fenomeni mediatici seguiti dal popolo del web quasi quanto una prima tv. Prova a chiederti il perché.

Sarà che penso che le cose o si fanno bene o non si fanno, ma sicuramente una bella idea raccontata male non verrà mai percepita nel suo completo potenziale.

E questo vale anche e soprattutto per quegli imprenditori che vogliono raccontare da sé il proprio prodotto: la spontaneità è sicuramente qualcosa di prezioso anche in video, ma deve essere gestita con metodo, altrimenti il rischio sarà quello di ottenere una sonora risata, lasciando svanire il risultato sperato.

Sulla comunicazione, per approfondire, potresti leggere:

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Da qualche anno tengo Corsi di Comunicazione e scrittura per il web per scuole e privati.

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Sara Soliman

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Come scrivere (e comunicare) con empatia

Come scrivere (e comunicare) con empatia

L’empatia, nel copywriting e nella comunicazione, ha lo straordinario potere di creare relazioni. Ma si può imparare a scrivere in modo empatico?

Si fa un gran parlare di empatia. Di come comunicare in modo empatico, di come coltivare l’empatia, di come scrivere in modo empatico.

L’empatia è la capacità di entrare in sintonia con le altre persone, di capire il loro stato d’animo e le loro necessità, la loro gioia e il loro dolore.

Ma nella società di oggi, dove tutto corre in fretta e dove abbiamo poco tempo anche per noi stessi, è possibile coltivare l’empatia?

Io credo di sì, ma dobbiamo imparare a rallentare e coltivare l’ascolto.

Come possiamo pensare di essere compresi se noi per primi non ci poniamo in una situazione di ascolto con gli altri?

L’empatia nasce dall’ascolto, dal silenzio, dalla comprensione. 

E dall’esercizio di alcune buone pratiche.

Come coltivare l’empatia

Coltivare l’empatia non è semplice, ma esistono alcune buone pratiche che, se per alcuni corrispondono alla normalità, per molti invece non sono automatiche, abituati come siamo a vedere la vita dal nostro punto di vista.

Per cominciare possiamo allenarci a tenere questi cinque atteggiamenti, come ci consiglia Rick Hanson, che ha scritto un interessantissimo libro sulla resilienza.

1.Dovremmo abituarci prima di tutto a immergerci nella nostra interiorità: la consapevolezza di sé rafforza la consapevolezza degli altri.

2.Alleniamoci ad assumere il punto di vista altrui, prendendo coscienza del fatto che quanto a noi appare evidente e importante potrebbe non esserlo per gli altri. Ognuno è plasmato dall’ambiente in cui vive.

3.Arricchiamo il nostro bagaglio di competenze “culturali” e confrontiamoci con persone di provenienza diversa dalla nostra. Ciò ci aiuterà a diventare consapevoli di preconcetti inconsci che derivano dalla nostra cultura e dunque a diventare più rispettosi dei bisogni altrui.

4.Impariamo a cogliere le micro espressioni dell’altro, a guardarlo negli occhi e a non fermarsi alla superficie, proprio per cogliere le esigenze e le sofferenze che potrebbero celarsi dietro a un atteggiamento aggressivo o che non riusciamo a comprendere.

5.Alleniamoci a formulare ipotesi, che sono la chiave dell’empatia. Questo ci aiuta ad affinare la comprensione. 

Correggere poi le interpretazioni inesatte è importante per raggiungere una comunicazione empatica e dunque più autentica.

Consigli per comunicare e scrivere con empatia

Come comunicare in modo empatico

Riconoscere le emozioni degli altri, e avere la certezza che gli altri riconoscano le nostre, facilita la comunicazione.

Ricorda che:

Se non provi empatia e le tue relazioni personali non sono efficaci, non importa quanto sei intelligente: non arriverai lontano.

(Daniel Goleman)

Ti è mai capitato di parlare con qualcuno e di pensare che quella persona ti capisce all’istante?

Spesso la chiamiamo “sintonia” ma quel che si crea in realtà è comunicazione empatica.

L’ empatia è uno strumento prezioso, forse l’unico, per ottenere fiducia.

Ognuno di noi desidera essere pienamente capito e compreso. Se il nostro interlocutore si sente capito e compreso è normale che vedrà in noi una persona di cui fidarsi e a cui affidarsi.

Una comunicazione efficace fornisce certamente informazioni, dati, notizie e caratteristiche concrete ma comunica anche emozioni.

E quando entrano in gioco le emozioni comunicare anche con il corpo è fondamentale. La comunicazione non verbale comprende l’uso dl corpo, delle mani e l’uso del giusto tono di voce.

Questo perché:

Il messaggio è importante tanto quanto il modo con cui lo si esprime.

Se applichiamo questo concetto al commercio possiamo capire perché, anche se i clienti analizzano e valutano le decisioni di acquisto sulla base di fatti caratteristiche del prodotto, la decisione che spinge all’acquisto è influenzata dalle emozioni che il venditore o il brand dell’azienda riescono a trasmettere.

Anche i nostri collaboratori formano la loro idea su di noi sulla base di fatti e caratteristiche della persona, ma decidono di seguirci e fidarsi di noi in base delle emozioni, ovvero di quell’insieme di sensazioni e sentimenti che spingono ad agire e che generano fiducia.

Per avere una comunicazione più efficace e fare in modo che il tuo messaggio arrivi nel migliore dei modi a clienti e collaboratori, comincia allora mettere un po’ di emozione in quello che dici: usa le mani, muovi il corpo e concentrati anche sul tono di voce.

Come scrivere con empatia

Empatia significa anche saper creare e trasmettere emozioni. Come riuscire a trasmettere emozioni con il copywriting?

Prima di tutto cerca di non essere vago mentre scrivi: comunica concetti precisi, concetti cioè che evocano immagini dettagliate. A tale scopo informati bene e dai tutte le informazioni necessarie e in modo chiaro.

Quando ti è possibile scrivi di cose che ti appassionano e che conosci bene: il tuo testo risulterà più spontaneo e più vero. 

Allenati a non usare verbi all’imperativo. Niente ordini, insomma. Quante volte leggiamo on-line la famosa call-to-action Clicca, Scopri, Acquista?

Per il lettore è molto più coinvolgente essere condotto all’azione in modo più meno aggressivo. Invece di Leggi  utilizza Potresti leggere anche.

Oppure: invece di Acquista la macchina fotografica migliore che c’è sul mercato utilizza Con questa macchina fotografica rivivrai momenti indimenticabili.

In questo modo è come se accompagnassi il lettore, senza forzarlo, a fare la scelta migliore. E in più tocchi il suo lato emotivo.

Inoltre, secondo alcune ricerche di programmazione neuro-linguistica, il nostro cervello dubita di troppa sicurezza e spavalderia e preferisce un approccio più umano e meno infallibile.

Alcuni avverbi che esprimono dubbio quali forse, probabilmente o quasi – contrariamente a quel che si crede – contribuiscono a dare maggiore credibilità al messaggio e dunque a creare fiducia e relazioni.

Altro aspetto importante è quello di utilizzare il giusto tono di voce. E per non sbagliare è necessario conoscere il tuo pubblico di riferimento.

Il tono colloquiale e l’utilizzo del tu è sicuramente il modo migliore per entrare in sintonia con il lettore, ma ciò che conta è riuscire a emozionare. 

Perché si sa, i testi che funzionano meglio sono quelli che emozionano.

 

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Sintesi, credibilità ed emozione: 8 consigli per una presentazione efficace

Sintesi, credibilità ed emozione: 8 consigli per una presentazione efficace

Le presentazioni sono all’ordine del giorno nel mondo del lavoro e della scuola. Ma quali sono le slide che funzionano meglio?

Oggi le slide sono all’ordine del giorno tanto nel mondo del lavoro quanto nel mondo della scuola e delle università.

Al lavoro le utilizziamo durante le riunioni, per organizzare interventi a convegni, per realizzazare una presentazione dedicata a potenziali investitori.

In realtà le slide sono una sorta di “salvagente” per tutti (così le definisce Luisa Carrada, esperta in copywriting): per il relatore, l’organizzatore, i convenuti al convegno, l’insegnante e gli studenti.

Ma come creare un presentazione efficace? Quali sono le slide migliori? 

Vediamo insieme quali sono gli elementi da considerare per creare una buona presentazione, che mantenga alta l’attenzione del pubblico e trasmetta il messaggio in modo efficace.

Le parole chiave di una buona presentazione

Una presentazione è prima di tutto un prodotto di comunicazione, con una rigorosa organizzazione interna.

Garr Reynolds, autore del popolare blog sulle presentazioni presentationzen.com ha creato sei slide che riportano le parole chiave di una buona presentazione.

Queste parole chiave sono:

Semplicità, sorpresa, concretezza, credibilità, emozione, narrazione.

E ha inserito un solo termine per slide.

Il fatto che ci sia una sola parola per slide significa che nelle presentazioni le parole scritte non sono le protagoniste: sono essenziali, certo, ma hanno la funzione di ancorare l’attenzione e anticipare le parole dell’oratore. E devono sorprendere, emozionare.

Parole scritte e parole parlate devono essere diverse e complementari, solo con qualche comprensibile sovrapposizione.

Ed è forse questo l’aspetto più complesso del creare una presentazione efficace: imparare a gestire il rapporto tra slide ed esposizione orale, rendere cioè coerenti i due canali comunicativi con lo scopo di valorizzare il messaggio.

Come procedere per creare una presentazione

Per creare una buona presentazione segui questi consigli:

  1. Prepara una traccia;
  2. Crea testi brevi;
  3. Ricorda l’importanza del titolo;
  4. Scegli con attenzione il carattere e cura la grafica;
  5. Usa un layout predefinito;
  6. Limitati a una sola idea per slide;
  7. Usa immagini e grafici;
  8.  Non esagerare con le animazioni speciali e gli effetti di transizione.

 

1. Prepara la traccia

Preparare la traccia di ciò che devi dire, il flusso della tua presentazione, ti servirà ad avere le idee più chiare e a presentare i concetti in modo più logico e ordinato.

Poi pianifica la struttura delle slide. Parti con una slide con il titolo, una con l’introduzione, una con l’indice degli argomenti, una con i soli titoli degli argomenti che tratterai.

Al posto dell’indice dettagliato potresti inserire il tuo obiettivo e quello che sarà il risultato.

Oppure una bella domanda, a cui risponderai durante la presentazione.

In un secondo momento inserirai qualche call-to-action, immagini, citazioni, grafici e altro.

Nell’ultima slide riassumi il tuo messaggio in uno slogan originale, una citazione, il “succo del discorso” che è il tuo obiettivo.

2. Crea testi brevi

Ricorda questo concetto: in una presentazione le parole scritte sono importanti ma non devono trasmettere tutti i contenuti. 

Usa elenchi puntati per focalizzare gli elementi importanti o i dati, ma soprattutto per attirare l’attenzione verso ciò che devi dire. 

Evita di inserire troppo testo: parole scritte e parole parlate devono essere diverse e complementari.

La slide non deve essere esaustiva come una pagina di un libro, è piuttosto la traccia del tuo discorso.

Mason scrive:

Considerate le slide come se fossero la punta dell’iceberg del vostro discorso, la sola parte visibile. Il resto dell’iceberg è dentro di voi.

3. Scegli con attenzione caratteri e cura la grafica

Assicurati che il font che hai scelto sia leggibile. I font di riferimento (quelli pensati per lo schermo) sono i classici Verdana, Georgia, Garamond, Trebuchet.

E scegli al massimo due tipi di font: uno per i testi e uno per i titoli.

La regola generale è di usare le dimensioni dei caratteri di circa 24 punti per il testo, 40 punti per i titoli.

4. Ricorda l’importanza del titolo

Il titolo è il re del paragrafo, sempre. Lo è nelle pagine del web, negli articoli e anche nelle slide.

Il titolo è un concentrato di contenuto e, di ogni slide, deve trasmettere il messaggio principale.

Nei titoli (che devono avere lo stesso carattere in ogni slide) usa forme attive e parole chiave.

5. Usa un layout predefinito

La presentazione risulterà più convincente se tutte le slide sono omogenee come colori, carattere e impaginazione.

Contenuti ed elementi grafici devono seguire lo stesso allineamento e, se puoi, usa i colori del tuo logo.

6. Limitati a una sola idea per slide

In ogni slide trasmetti un solo concetto e riducilo all’essenziale: elimina avverbi e aggettivi, privilegia fatti e dati, cerca di non scrivere più di sei righe. 

Seth Godin, che sulle slide ha scritto molto, è categorico:

Mai più di sei parole in una slide.

Giacomo Mason è più morbido e ci consegna dei limiti:

Se avete tanto testo nella slide di una presentazione avete un problema. Sopra i 600 caratteri è molto probabile che le persone non leggeranno la slide, sopra le 900 caratteri potete stare certi che non le leggeranno.

Le slide migliori, quelle dei grandi comunicatori (vedi Steve JobsGarr Reynolds), sono dunque quelle che hanno pochissimo testo.

Certo, forse rimanere dentro le sei parole di Seth Godin è difficile, però il concetto è chiaro: riduciamo il testo il più possibile.

7. Usa elementi grafici

Spezza le slide di dolo testo con slide che contengono immagini, diagrammi, tabelle e icone: rendono la tua storia più interessante, comprensibile e memorizzabile.

8. Non esagerare con le animazioni speciali e gli effetti di transizione 

Animazioni eccessive ed effetti di transizione diversi tra diapositive indicano poca professionalità e distraggono l’ascoltatore.

Il mio consiglio è di utilizzare sempre la stessa animazione e usare un solo effetto di transizione, leggero. È più che sufficiente.

E dopo? “Qualcosa bisogna pur lasciare”

Dopo la presentazione è buona prassi lasciare un documento completo di tutti i contenuti che hai comunicato: slide, tabelle, dati e il testo del discorso stesso.

Oppure puoi scegliere di fornire le stesse slide (in ordine e ben impaginate, 4 o 6 per pagina formato A4) e il testo del tuo discorso, in modo da far felice chi sostiene che “qualcosa bisogna pur lasciare”.

Sconsiglierei però di consegnare la stampa prima della presentazione. Informa piuttosto il tuo pubblico che “dopo” lascerai una copia delle slide a disposizione. Credo sia l’unico modo per mantenere l’attenzione.

Utilizzi anche tu questi criteri per creare le tue presentazioni o tendi a scrivere tanto testo?

E poi, lasci le slide al tuo pubblico? Scrivimi nel box qui sotto!

 

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Articolo del 20.11.2020 rivisto il 13.09.2022 e il 28.04.2024

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Gadda al microfono: le regole della buona comunicazione in radio

Gadda al microfono: le regole della buona comunicazione in radio

“L’io è il più pidocchioso dei pronomi” ci ricorda Gadda nelle sue Inderogabili Norme per la redazione di un testo radiofonico

A oltre 60 anni dalla loro pubblicazione, le norme per la redazione di un testo radiofonico di Carlo Emilio Gadda rimangono un punto di riferimento per chiunque si occupi di comunicazione, in radio ma anche sui social e blog.

Dopo aver parlato delle regole di scrittura suggerite da Umberto Eco per scrivere bene in italiano e aver trattato i consigli di Calvino per scrivere con leggerezza, vediamo insieme “le inderogabili norme” stilate da Gadda per la RAI, guida di comportamento diretta ai dipendenti RAI e dall’azienda stessa commissionate (precisamente dal Terzo Programma) allo scrittore lombardo.

Tali regole vennero stampate nel 1953 sotto forma di opuscolo completamente anonimo e adespoto (senza editore responsabile) tanto era il timore dell’autore di poter infastidire qualcuno, cosa che accadde.

Solo dopo molti anni – nel 1991 – l’opuscolo viene pubblicato a cura di Dante Isella in Edizioni Garzanti.

L’edizione di Ungarelli è invece disponibile in anastatica dal 1971 e porta il titolo “Gadda al microfono. L’ingegnere e la Rai (1950-1955)” a cura di Giulio Ungarelli (Nuova Eri-Edizioni Radio Italiana 1953).

Gadda delinea le buone norme per un redattore radiofonico, ma a leggerlo oggi ci si rende conto che molte delle sue norme andrebbero rispettate, ancora oggi in ogni aspetto della comunicazione, anche quello scritto.

Scrive Gadda nelle prime righe del Decalogo: “La mancata osservanza di dette norme e cautele, può rendere intrasmissibile uno scritto anche se per altri aspetti eccellente”. 

Norme inderogabili dunque, alle quali vanno aggiunti alcuni “avvertimenti” o “cautele” presenti nell’introduzione, ma altrettanto importanti.

Riporto parti intere (mi sono permessa di evidenziare con il grassetto l’argomento della norma) dall’edizione in anastatica, del testo scritto da Gadda, un testo di piacevole lettura, sintetico, ironico e dai contenuti di centrale importanza per una buona comunicazione.

 

Carlo Emilio Gadda_citazioni

 

Norme per la redazione di un testo radiofonico

Dal testo originale in anastatica (del quale ho una copia dai tempi dell’università):

Il testo va costruito con periodi brevi e per la durata massima di 15 minuti.

In 15 minuti Gadda riconosce dunque la sopportabilità massima del parlato di un unica voce.

Nessuna conversazione da trasmettere «a una voce» può superare questo limite.

Ove si preveda una conversazione di maggior durata, bisogna costruirne il testo in modo da poterlo «dire» a due voci, a tre voci, a più voci. Chi predispone il testo deve elaborarlo in forma di dialogo.

Fondamentale è poi:

Evitare l’eccesso di autorevolezza e il tono dottrinale o accademico

Compito del presentatore è quello di rendere, del commemorato o dei commemorati, un’immagine evidente e in quanto possibile obiettiva, non quello di insabbiarne l’effigie col polverino della propria autorità.

Se accade che la conversazione abbia fonti prevalentemente bibliografiche o verta su tema dottrinale o comunque erudito, è bene dissimulare la qualità delle fonti o la natura del tema.


Il pubblico
che ascolta una conversazione è un pubblico per modo di dire. In realtà si tratta di «persone singole», di mònadi ovvero unità, separate le une dalle altre. 

Ogni ascoltatore è solo: nella più soave delle ipotesi è in compagnia di «pochi intimi». Seduto solo nella propria poltrona, dopo aver inscritto in bilancio la profittevole mezz’ora e la nobile fatica dell’ascolto, egli dispone di tutta la sua segreta suscettibilità per potersi irritare del tono inopportuno onde l’apparecchio radio lo catechizza.

È bene perciò che la voce, e quindi il testo affidatole, si astenga da tutti quei modi che abbiano a suscitare l’idea di un’allocuzione compiaciuta, di un insegnamento impartito, di una predica, di un messaggio dall’alto.

L’eguale deve parlare all’eguale, il libero cittadino al libero cittadino, il cervello opinante al cervello opinante. Il radiocollaboratore non deve presentarsi al radioascoltatore in qualità di maestro, di pedagogo e tanto meno di giudice o di profeta, ma in qualità di informatore, di gradevole interlocutore, di amico.

All’atto di redigere il testo di un parlato radiofonico si dovrà dunque evitare in ogni modo che nel radioascoltatore si manifesti il cosiddetto «complesso di inferiorità culturale», cioè quello stato di ansia, di irritazione, di dispetto che coglie chiunque si senta condannare come ignorante dalla consapevolezza, dalla finezza, dalla sapienza altrui.
Questo «complesso» determina una soluzione di continuità nel colloquio tra il dicitore e l’ascoltatore, crea una zona di vuoto, un «fading» spirituale nella recezione.

Nell’introduzione alle regole Gadda sottolinea dunque:

A – Astenersi dall’uso della prima persona singolare «io». Il pronome «io» ha carattere esibitivo, autobiografante o addirittura indiscreto. Sostituire all’ «io» il «noi» di eimbro resocontistico-neutro, o evitare l’autocitazione.

Al giudizio: «Io penso che la “Divina Commedia” sia l’opera maggiore di Dante», sostituire: «La “Divina Commedia” è ecc.»;

B – Astenersi da parole o da locuzioni straniere quando se ne possa praticare l’equivalente italiano. Usare la voce straniera soltanto ove essa esprima una idea, una gradazione di concetto, non per anco trasferita in italiano. Per tal norma inferiority-complex, nuance, Blitz-Krieg e chaise-longue dovranno essere sostituiti da complesso d’inferiorità, sfumatura, guerra lampo e sedia a sdraio: mentre sefl-made man, Stimmung, Weltanschaung, romancero, cul-de-lampe e cocktail party potranno essere tollerati;

C – Evitare gli sterili elenchi dei nomi di persona quando non si possono caratterizzare o comunque definire le persone chiamate in causa.

D – Operare analogamente con le date. In un esposto di carattere storico le date costituiscono opportuno ammonimento, gradito appoggio e gradita eccitazione per la memoria. Tali appaiono al viaggiatore le indicazioni chilometriche.

E – Inibirsi la civetteria del dare per comunemente noto quello che noto comunemente non è. A nessun uomo, per quanto colto, si può chieder di essere una enciclopedia. I lemmi dell’enciclopedia rappresentano la fatica di migliaia di collaboratori;

F – Entrare subito o pressoché subito in medias res: non tener sospeso l’animo del radioascoltatore con lunghi preamboli, con la vacuità di premonizioni superflue che il valore cioè il costo del tempo del radioparlato sono ben lontani dal giustificare, dall’ammettere.

 

Carlo Emilio Gadda_citazioni

 

Ciò avvertito, ecco le regole generali assolute per la stesura di ogni testo radiofonico, generali cioè valide per qualunque tipo di testo radiofonico:

 

1 . Costruire il testo con periodi brevi: non superare in alcun caso, per ogni periodo, i quattro righi dattiloscritti; attenersi, preferibilmente, alla lunghezza normale media di due righi, nobilitando il dettato con i lucidi e auspicati gioielli dei periodi di un rigo, mezzo rigo. 

2. Procedere per figurazioni paratattiche, coordinate o soggiuntive, anziché per figurazioni ipotattiche, cioè per subordinate (causali, ipotetiche, temporali, concessive).(…)

3. Il tono gnomico e saccadé che può risultare da un siffatto incanalamento e governo della piena (di idee) non dovrà sgomentare preventivamente il radiocollaboratore. Una dopo l’altra le idee avranno esito ordinato e distintamente percepibile al radioapparecchio: una fila di persone che porgono il biglietto, l’una dopo l’altra, al controllo del guardiasala.
La consecuzione delle idee si distende nel tempo radiofonico e deve avere il carattere di un «écoulement», di una caduta dal contagocce. Ogni tumultuario affollamento di idee nel periodo sintattico conduce al «vuoto radiofonico».

4. Sono perciò da evitare le parentesi, gli incisi, gli infarcimenti e le sospensioni sintattiche. La regìa si riserva di espungere dal testo parentesi e incisi e di tradurli in una successione di frasi coordinate. Una parentesi di più che sei parole è indicibile al microfono. L’occhio e la mente di chi legge arrivano a superare una parentesi, mentre la voce di chi parla e l’orecchio di chi ascolta non reggono alla impreveduta sospensione. (…)

5. Curare i passaggi di pensiero e i conseguenti passaggi di tono mediante energica scelta di congiunzioni o particelle appropriate. (…)

6. Evitare le litòti a catena, le negazioni delle negazioni. La litòte semplice – negare il contrario di quel che si intende affermare – è gentile e civilissima figura. (…)

Alla seconda negazione la mente per quanto salda e agguerrita dell’ascoltatore si smarrisce nella giungla dei «non». (…)

7. Evitare ogni infelice ricorso a poco aggiudicabili pronomi determinativi o disgiuntivi o numerali o indefiniti, a modi qualificanti o indicanti comunque derivati o desunti dal pronome o dal numero: quello-questo, l’uno-l’altro, il primo-il secondo, esso, quegli, chi, ognuno, il quale, qualsivoglia d’essi, egli, ella, quest’ultimo. (…)

Deve apparir chiaro in su le prime a quali termini di una serie enunciata i detti pronomi si riferiscono. In caso contrario è meglio ripetere il termine, cioè il nome. (…)

8. Evitare le rime involontarie, obbrobrio dello scritto, del discorso, ma in ogni modo del parlato radiofonico. Una rima non voluta e inattesa travolge al ridicolo l’affermazione più pregna di senso, il proposito più grave. La regìa si riserva la facoltà di emendare dal vezzo d’una rima il testo che ne andasse eventualmente adorno.

9. Evitare le allitterazioni involontarie, sia le vocaliche sia le consonantiche, o comunque la ripetizione continuata di un medesimo suono. Le allitterazioni sgradevoli costituiscono inciampo a chi parla, moltiplicano la fatica e la probabilità di errore (pàpera). Ciò che è peggio interrompono l’ascolto con dei tratti non comprensibili, e non compresi di fatto.(…)

Ma il parlato radiofonico non è pretesto o supporto a una frase musicale; deve essere compreso per se stesso; il suo valore deriva unicamente dal contenuto logico. (…)

10. Evitare le parole desuete, i modi nuovi o sconosciuti, e in genere un léssico e una semantica arbitraria, tutti quei vocaboli o quelle forme del dire che non risultino prontamente e sicuramente afferrabili. Figurano tra essi:
a) i modi e i vocaboli antiquati;

b) i modi e i vocaboli di esclusivo uso regionale, provinciale, municipale;

c) i modi e i vocaboli, talora arbitrariamente introdotti nella pagina, della supercultura (p. e. della supercritica), del preziosismo e dello snobismo;

d) i modi e i vocaboli delle diverse tecniche; della specializzazione;

e) i modi e i vocaboli astratti.

11. Evitare le forme poco usate e però «meravigliose» della flessione, anche se provengono da radicali (verbali) di comune impiego. Non tutti i verbi sono utilmente coniugabili in tutti i tempi, modi e persone. (…)

Tali mostri (agiamo, scelsero) sono figli legittimi della coniugazione, ma la legittimità dei natali non li riscatta dalla mostruosità congenita.

 

Carlo Emilio Gadda, Norme per la redazione di un testo radiofonico, ERI (Edizioni Radio Italiana) 1953.

In una visione purista della lingua italiana, Gadda consiglia di guardarsi dall’uso dei forestierismi, che causerebbero la morte delle nostre parole. Sono tollerabili, secondo l’autore, solo le parole straniere che non hanno l’equivalente in italiano.

Le norme sono, nel loro insieme, un invito alla sobrietà e alla semplicità di espressione, nella convinzione che per risultare piacevoli all’ascoltatore è necessario mettersi sullo stesso piano e instaurare un tipo di comunicazione empatica. Per questo motivo intramontabili.

Creo e gestisco contenuti per blog e siti web e scrivo testi ottimizzati SEO per un migliorarne il posizionamento sui motori di ricerca.

Da qualche anno tengo Corsi di Comunicazione e scrittura per il web per scuole e privati.

Ho una laurea magistrale in editoria e giornalismo, amo da sempre leggere e andare in montagna, palestra di vita.

Sara Soliman

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Saper fare, saper essere e saper comunicare: le competenze per trovare lavoro oggi

Saper fare, saper essere e saper comunicare: le competenze per trovare lavoro oggi

Per trovare lavoro è necessario riconoscere l’importanza del saper essere e di soft skills quali l’intelligenza emotiva e la capacità di comunicare con empatia

Le competenze possono essere definite come l’insieme delle qualità personali e delle conoscenze che ognuno di noi utilizza in ogni momento della propria vita: al lavoro, in famiglia e nel tempo libero.

Possiamo suddividere le competenze fondamentali in tre gruppi diversi ma ugualmente importanti perché i migliori risultati si ottengono quando sono presenti le caratteristiche di ogni gruppo.

I tre gruppi sono:

  1. Il sapere, che riguarda le conoscenze;
  2. Il saper fare, che riguarda le capacità, le abilità e l’esperienza;
  3. Il saper essere, che riguarda i comportamenti e gli atteggiamenti, e ha a che fare con l’identità.

Ma quali sono le competenze che ti consentono di esprimere il meglio di te e che ti permettono di trovare lavoro oggi?

Seguimi e vediamo insieme le quali sono le caratteristiche di ogni gruppo e come si formano le relative competenze.

Il mio consiglio è quello di affrontare questo articolo con autocritica, in modo da riuscire a metterti in discussione e di cercare di migliorarti. In questo ambito il lavoro interiore è parte integrante del tuo percorso di crescita personale e professionale.

Sapere, saper fare e saper essere

Il Sapere rappresenta le competenze di base che riceviamo attraverso l’educazione.

Sono il quadro di riferimento in cui inserisci il tuo modo di lavorare e di essere. Riguarda le conoscenze teoriche di base come la scrittura e il linguaggio che utilizzi, le conoscenze di matematica e se è tua abitudine leggere e informarti.

Il Saper fare rappresenta invece le competenze tecnico-professionali e riguarda le conoscenze pratiche della tua funzione lavorativa.

Il Saper essere rappresenta le competenze trasversali utilizzate in più ambiti (come comunicare, parlare in pubblico, capacità di lavorare in gruppo ecc.) e riguarda la capacità di essere. Ciò presuppone che tu conosca bene te stesso, prima di tutto.

La scuola ci fornisce l’abc del saper fare, ma è solo quando iniziamo a sperimentare sul campo che poniamo le basi per sviluppare anche le conoscenze pratiche e, con il tempo, diventiamo abili nel saper fare.

Può anche succedere che hai tutte le migliori conoscenze teoriche e che conosci le azioni necessarie da compiere ma non riesci ad attuarle.

Da cosa dipende? 

Dipende dalla terza fondamentale competenza, il saper essere.

Competenze

Competenza: definizioni

Prima di tutto bisogna risalire all’origine e definire cosa si intende per competenza.

L’EQF (European Qualification Framework, il sistema che permette di confrontare le qualifiche professionali dei cittadini europei) definisce la competenza come

La capacità di utilizzare conoscenze, abilità, capacità personali, sociali e metodologiche. 

L’e-CF (e-Competence Framework), che si rivolge nello specifico al contesto dell’ICT, definisce la competenza come

Un’abilità dimostrata di applicare conoscenza, abilità e attitudini. 

In altri ambiti si afferma che il talento (l’insieme di competenze che concorrono al successo professionale di un individuo) richiede conoscenza, abilità e motivazione.

Le diverse definizioni hanno un tratto comune: evidenziano come la competenza richieda, oltre al sapere (la conoscenza) ed al saper fare (l’abilità), un insieme ulteriori caratteristiche che includono tratti personali e coinvolgono la sfera delle relazioni sociali ed interpersonali dell’individuo (il saper essere).

Le competenze possono essere poi classificate in vari modi: ad esempio suddividendole in competenze di base, tecnico-professionali e trasversali. 

Saper Essere e Soft skill

In questo quadro occorre introdurre le cosiddette soft skill, ovvero le abilità trasversali che concorrono a rendere gli individui efficaci dal punto di vista relazionale e comunicativo, metodologico e manageriale.

Nel quadro delle tre componenti della competenza (sapere, saper fare, saper essere), le soft skill vengono inserite di solito tra le capacità del saper essere. 

Vorrei proporre un modo diverso di concepire le soft skill. Considerandole competenze trasversali le possiamo ricondurre a quelle competenze formate dalle componenti del sapere, del saper fare e del saper essere.

Ad esempio, la capacità di buona comunicazione interpersonale non si basa solo su attitudini più o meno innate, richiede conoscenze teoriche (sapere), esperienza ed applicazione di metodo (saper fare), nonché tratti personali come ad esempio la capacità di ascolto (saper essere). 

Esaminiamo poi la capacità di lavorare in gruppo: essa dipende da un insieme di abitudini, comportamenti e attitudini. 

Alcune di queste caratteristiche si possono imparare attraverso percorsi di formazione che insegnano le tecniche della buona comunicazione e dell’assertività.

Sono altre le attitudini personali (saper essere) che spesso è difficile modificare: è il caso ad esempio della capacità di ascolto e del saper comunicare con empatia.

Alcune attitudini, che sono radicate nel sistema neurologico dell’adulto, non possono più essere insegnate e nemmeno manipolate.

In tali casi la conoscenza (sapere) non è in grado di sradicare attitudini (saper essere) consolidate.

In altri casi invece l’esperienza e un grande lavoro interiore può aiutare a migliorarsi.

Competenze tecnico professionali specialistiche, competenze accessorie e trasversali

Distinguiamo intanto due tipi di competenze: le competenze tecnico-professionali specialistiche e quelle accessorie. 

Le prime sono specifiche dell’ambito lavorativo proprio dell’azienda. 

Ad esempio, per un progettista di una azienda del settore meccanico, la competenza specialistica è il risultato di un percorso di formazione nell’ambito della meccanica e di applicazione di tali conoscenze ai processi industriali meccanici.

Il saper essere invece in questo caso include capacità come il problem solving e la creatività.

Ma se l’azienda intende inserire processi digitali e tecnologie proprie del mondo dell’elettronica e telecomunicazioni (come il big data) o dell’informatica (il cloud computing, l’intelligenza artificiale), il progettista deve disporre anche di competenze accessorie, ossia proprie di altri settori tecnologici. 

Tali due categorie dovranno poi essere accompagnate dalle competenze trasversali o soft skill, quelle competenze indipendenti dall’ambito applicativo come la leadership, la capacità di lavorare in gruppo o di comunicare.

Dunque, in sintesi le competenze utili all’Industria 4.0 possono essere stratificate a tre livelli:

  1. specialistiche;
  2. accessorie;
  3. trasversali. 

Su ciascun livello occorre sapere, saper fare e saper essere. 

Il ruolo della comunicazione interpersonale

Il mondo del lavoro oggi richiede persone che oltre a sapere, saper fare e saper essere, devono anche saper comunicare.

La comunicazione interpersonale è una delle più importanti competenze trasversali, perché ogni relazione impone buone capacità di comunicazione.

Si tratta di una competenza per la quale occorre formazione, esperienza ed attitudini. 

Valutazione del Saper Essere

Durante un colloquio, Il responsabile delle risorse umane deve riuscire a capire anche le caratteristiche di identità che non vede della persona che ha di fronte.

Il suo scopo è inserire la persona giusta al posto giusto.

Ciò che gli interessa 4 tratti della personalità:

  • Dominanza: caratteristica che comporta creatività, fantasia, capacità decisionale e ambizione al potere;
  • Interazione: caratteristica di chi è portato a interagire con gli altri. Tipica della persona empatica;
  • Stabilità: persona che rispetta le regole e che sa aderire a una cultura già stabile;
  • Competenza: propensione alla precisione e ai dettagli.

La proposta di un questionario è indicativa per ottenere una chiave di lettura del soggetto da selezionare.

Questo viene fatto allo scopo di mettere l’uomo giusto al posto giusto, usando il dizionario delle competenze dato dal saper fare (conoscenze e capacità tecniche) più il saper essere (attitudine e caratteristiche di identità).

Le attitudini, il saper essere, sono legate all’identità.

Flessibilità, innovazione, apertura a nuove idee, orientamento alla strategia e al risultato, accuratezza, capacità decisionale, cooperazione sono alcune competenze che il responsabile delle risorse umane cerca nel candidato.

Le capacità tecniche, il saper fare, sono legate all’esperienza. Parliamo della conoscenza (il sapere) e dell’esperienza lavorativa maturata nel settore.

Le caratteristiche dell’identità determinano i fattori di successo che poi si riflettono sui risultati lavorativi in termini di migliore performance, incremento della produttività e aumento dei volumi delle vendite.

Hai capito l’importanza dei tre tipi di competenze, quanto sono legate una all’altra e quando è importante fare in modo che emergano chiare in un colloquio di lavoro?

Competenze personali, sociali e intelligenza emotiva

Le competenze che riguardano il saper essere possono essere personali come la padronanza di sé, la motivazione, coscienziosità, la flessibilità, l’autocontrollo, iniziativa, impegno, fiducia in sé, la spinta alla realizzazione.

Oppure sociali, le cd abilità sociali: empatia, comunicazione, comprensione, gestione conflitti, collaborazione o cooperazione, leadership.

L'Intelligenza emotiva caratterizza il comportamento delle persone

Le competenze dell’intelligenza emozionale forniscono un contributo importante alle prestazioni professionali e consentono di migliorare il saper essere influendo sulle caratteristiche di identità (energia, onestà, carisma, intuizione, fiducia, impegno, resistenza ecc.).

Le competenze sociali fanno parte delle competenze dell’intelligenza emotiva e comprendono l’empatia e le abilità sociali.

L’empatia è la capacità di “sentire con l’altro”. Comporta consapevolezza dei sentimenti, degli interessi e delle esigenze altrui.

Si articola in comprensione agli altri, assistenza, promozione allo sviluppo altrui.

L’abilità sociale riguarda quei comportamenti capaci di indurre risposte desiderabili negli altri. Si articola in influenza, comunicazione, leadership, cooperazione, apertura al cambiamento, capacità nella costruzione di legami.

L’intelligenza emozionale si può sviluppare durante tutto l’arco della nostra vita e sostiene il 70% delle competenze che condizionano il successo nel lavoro e il benessere privato.

Ricorda che:

La competenza emotiva ha un’importanza doppia rispetto alle abilità cognitive e permette di ottenere prestazioni superiori in tutte le posizioni e in ogni campo.

La competenza emotiva costituisce un enorme vantaggio nelle posizioni di leadership. Questo perché, anche le decisioni si basano sulle emozioni.

E le emozioni sono informazioni.

Ricapitolando: le 10 competenze necessarie

Ecco quelle che sono le principali competenze per riuscire a entrare nel mondo del lavoro:

  1. Capacità decisionale: è capacità di analizzare dati e situazioni in modo da poter prendere decisioni;
  2. Capacità comunicative: solide capacità comunicative permettono di interagire con personalità diverse tra di loro;
  3. Creatività: skill unica, insostituibile e non ancora sorpassata;
  4. Flessibilità cognitiva: un approccio mentale a 360 gradi sarà l’unico modo per adattarsi ai rapidi cambiamenti di oggi. Se ti saprai muovere tra diversi modi di pensare imparare cose nuove;
  5. Gestione del personale: questa è una competenza richiesta ai manager di oggi e permette di ottenere il massimo dei risultati;
  6. Intelligenza emotiva: sviluppare una buona capacità di persuasione dialettica, sapersi sintonizzare con le emozioni altrui e adattare il proprio comportamento a seconda dello stato d’animo di colleghi e dipendenti è importante tanto per il manager quanto per il libero professionista;
  7. Capacità di negoziazione: sono quelle capacità interpersonali che permettono di gestire in modo efficiente l’interazione umana e le trattative sociali.
  8. Orientamento all’offerta: capacità che permette di anticipare quali saranno i bisogni futuri dei target di riferimento e di orientare di conseguenza i trend aziendali;
  9. Pensiero critico: skill necessaria per interrogarsi su ogni tema in oggetto, prendendo in considerazione pro e contro e valutando differenti approcci possibili.
  10. Problem-solving: significa saper analizzare contesti complessi che cambiano velocemente ed essere capaci di risolvere problemi riuscendo a vedere nel contempo sia il quadro generale sia i dettagli.


Comunicazione: approfondimenti

 

Articolo pubblicato il 1°settembre 2020 e aggiornato il 13 ottobre 2021

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Barriere della Comunicazione: impara a riconoscerle e ad evitarle per creare una comunicazione efficace

Barriere della Comunicazione: impara a riconoscerle e ad evitarle per creare una comunicazione efficace

La comunicazione efficace si basa sull’ascolto, sull’accoglienza e sul limitare al minimo le barriere della comunicazione

Le barriere della comunicazione sono modalità che spesso utilizziamo in modo spontaneo, per abitudine o per cultura.

Quando un amico ha un problema spesso accade che cerchiamo di aiutarlo con dei buoni consigli o con dei suggerimenti tratti dalla nostra stessa esperienza. 

Nonostante le buone intenzioni, a volte questi tentativi creano più problemi di quanti ne risolvano e finiscono per ferire l’altra parte e bloccare così la comunicazione spontanea. 

Questi tentativi vengono definiti in psicologia “metodi tradizionali di aiuto” o “barriere della comunicazione”.

Evitare questi comportamenti è difficile, dovremmo però cercare di ridurli al minimo pensando che i modi di ascoltare sono due:
• il primo consiste nell’ascoltare i discorsi dell’altro per metterli al servizio delle proprie tesi e dei propri interessi;
• il secondo consiste nel sentire l’altro, nel cercare di capire “come parla”, nell’andare verso di lui con empatia.

Ma purtroppo il primo modo di ascoltare è il più diffuso, come sostiene lo psicologo americano Barry Schwartz:

“Si ascolta senza veramente sentire; così facendo, ci si protegge dai cambiamenti che un reale ascolto comporterebbe.” 

Sentire e ascoltare: la parola magica è Accoglienza

Ogni volta che utilizziamo questi modi di comunicare dobbiamo renderci conto che mettiamo l’altro in difficoltà e blocchiamo o rendiamo difficile la comunicazione.

Una buona comunicazione interpersonale richiede accoglienza.

Si tende a confondere la dimensione dell’ascolto con la funzione del sentire, trascurando una differenza fondamentale: ascoltare è un processo, sentire è un modo di immedesimarsi. 

L’ascolto riduce stress e tensioni in quanto ci permette di sviluppare relazioni più chiare, autentiche e una comunicazione efficace.

Le barriere comunicative individuate da Thomas Gordon

Di recente, in un libro di psicologia della comunicazione, ho approfondito il tema delle barriere comunicative individuate da Thomas Gordon nel 1974.

Sono 12 modalità di comunicazione errata in quanto rallentano, inibiscono o bloccano il processo comunicativo, creando un senso di sfiducia nell’interlocutore.

Spesso non siamo consapevoli di utilizzare queste modalità, e questo accade quando, involontariamente, ci allontaniamo dalla realtà esistenziale dell’altro.

In questo modo, sottolinea lo psicologo, “blocchiamo il processo di ascolto attivo e concentriamo la nostra attenzione sul nostro punto di vista o su ciò che giudichiamo giusto o sbagliato, anziché restare in contatto con i bisogni, idee, emozioni che l’altro esprime.”

Vediamo insieme quali sono le 12 barriere di Gordon, spiegandole con alcuni esempi.

1) Dare ordini, comandare, esigere

Quando diciamo all’altro: “Devi, bisogna che tu…” gli comunichiamo che i suoi sentimenti, pensieri e comportamenti non sono adeguati. Creiamo una situazione spiacevole di assimetria in quanto lasciamo intendere che chi parla sa cosa sia bene o male per l’altra persona.

2) Minacciare, avvertire, mettere in guardia

Ad esempio: “Se non fai così…”, “ Se continui così…”, sono messaggi simili a quelli precedenti, ma qui le conseguenze sono più esplicite: la minaccia, la punizione. Sono messaggi che suscitano sentimenti di rabbia e ribellione da una parte e dall’altra paura e sottomissione.

La punizione non è mai produttiva, per il semplice motivo che non gratifica. È difficile poi riprendere a comunicare con una persona che si sente umiliata.

3) Moralizzare, rimproverare, fare la predica

“Non ci si comporta così…”,“Sei il solito irresponsabile…”, “Io parlo per il tuo bene…”.

Questi messaggi creano sensi di colpa e costringono la persona a sottostare al potere esercitato da idee e valori dell’altro.

Sono messaggi difficile da contrastare perché spesso “nascosti” da frasi manipolative (lo faccio per te).

In ogni caso comunicano la mancanza di fiducia nel senso di responsabilità.

4) Offrire soluzioni, consigli

Anche quando cerchiamo di dare consigli è necessario fare attenzione.

Quando diciamo: “Secondo me la cosa migliore da fare è…” oppure “ascolta il mio consiglio, ci sono passato anch’io, vedrai che è la cosa migliore anche per te” dovremmo tener conto che inviamo un messaggio di superiorità intellettuale ed emotiva che blocca la comunicazione.

5) Argomentare, redarguire

In una conversazione, quando diciamo: “Sì, però…”, “no, non mi dire che…” tendiamo a provocare misure difensive e contro-argomentazioni da parte di chi ascolta. Anche qui la comunicazione non è più spontanea.

Anche interrompere è un atteggiamento che esprime non ascolto e non comprensione dell’altro, anche se pensiamo di sapere cosa vuole comunicarci o abbiamo fretta di rispondere.

Barriere della Comunicazione individuate da Thomas Gordon

6) Giudicare, valutare, criticare

Il giudizio pone l’altro sulla difensiva e la comunicazione continua in modo negativo, sempre che il soggetto non si allontani.

“Tu sei fondamentalmente egoista …”, “Stai sbagliando tutto …”. Sono messaggi che chiaramente creano una barriera alla comunicazione.

7) Fare apprezzamenti, manifestare compiacimento

È sempre piacevole e gratificante ricevere apprezzamenti, infatti questa è una barriera difficile da individuare.

Allo stesso tempo, il messaggio di “approvazione” che inviamo contiene l’idea implicita che altre scelte le avremmo giudicate sbagliate o non adeguate.

Anche se possono apparire come manifestazione di stima e fiducia, gli apprezzamenti possono apparire come atteggiamenti manipolatori, soprattutto quando si sente la non sincerità (ricordiamoci la potenza del linguaggio non verbale).

8) Ridicolizzare, etichettare

Ecco sei il solito sbadato”, “Ci risiamo”. Queste modalità sono ulteriori aspetti di valutazione negativa e di critica. Sono i classici messaggi che svalutano la persona e non solo il suo comportamento e che possono ferire profondamente.

9) Interpretare, diagnosticare

Interpretare significa cogliere qualcosa di simile a quanto viene detto e di filtrarlo attraverso i nostri significati, le nostre ideologie, il nostro vissuto.

“Penso che in realtà tu non voglia dire questo…” oppure “Io so cosa stai cercando di dire realmente”. L’atteggiamento interpretativo consiste nell’attribuire dunque un nostro significato alle parole dell’interlocutore e non è detto che ciò corrisponda a verità.

Lasciarlo parlare o chiedere chiarimenti è sicuramente una strada migliore per una comunicazione efficace.

10) Rassicurare, consolare

Messaggi come “Non avere paura…”, “Vedrai, tutto si risolverà…”, “Su fatti coraggio, non piangere” sembrerebbero frasi di sostegno. In realtà sono una barriera perché tendono a bloccare l’esperienza che l’altro sta vivendo.

Se una persona è triste o spaventata perché non dovrebbe piangere? Gli psicologi affermano con forza che piangere è salutare.

Spesso rassicurare e consolare è più un’esigenza legata all’incapacità di sostenere l’esperienza dell’altro che non un reale tentativo di vicinanza emotiva. Il meccanismo psicologico è il seguente: Non sopporto il dolore dell’altro/a e lo rassicuro affinché smetta e anch’io possa sentirmi sollevato.

11) Fare domande, investigare, indagare

Chiedere informazioni porta a spostare il colloquio verso una direzione diversa da quella voluta dal nostro interlocutore.

Chi riceve domande insistenti (“ma come mai?”, “ma tu cosa stavi facendo?”, “ma perché eri lì?”) ha la sensazione di essere impegnato a rispondere a un interrogatorio, cosa per nulla piacevole.

Nelle relazioni quotidiane questi messaggi diventano una barriera alla comunicazione, perché il nostro interlocutore in questo modo si sente minacciato, pressato.

E ciò serve solo a far aumentare l’ansia:  il rischio è che reagisca con rabbia.

12) Distrarre, minimizzare

La classica frase: “Non è poi così grave quello che è successo, pensa a chi sta peggio di te” comunica scarso interesse per il nostro interlocutore e per quello che sta tentando di dirci, è una mancanza di attenzione alle priorità e ai sentimenti dell’altro.

Il nostro interlocutore si sente non considerato e non compreso. La comunicazione non sarà più autentica né efficace perché veniamo visti come qualcuno che non comprende e allontana.

Empatia

Ascoltare vuol dire accogliere dentro di sé i problemi dell’altro con empatia

Come migliorare la capacità di ascolto

La nostra capacità di ascolto è legata alla profonda conoscenza dei nostri bisogni e stati d’animo.

Quanto più siamo consapevoli di ciò che ci accade tanto più saremo in grado di distinguere in modo chiaro il nostro vissuto per fare spazio al vissuto dell’altro. 

Un suggerimento può essere quello di soffermarsi, a fine giornata, a pensare agli scambi avuti durante il giorno, a come ci siamo sentiti, a cosa avremmo fatto o detto di diverso. E cercare di capire quali sono i nostri bisogni quando ci relazioniamo con gli altri.

Fermarsi a riflettere sulle nostre reazioni ci aiuta a costruire una piccola mappa di ciò che desideriamo per noi, in modo da poter accogliere in modo aperto e non giudicante anche i bisogni degli altri.

L’ascolto attivo secondo Thomas Gordon

L’ascolto attivo, in quanto opposto all’ascolto passivo (il silenzio), comporta l’interazione con l’altra parte e fa in modo che l’utente abbia delle prove che via sia comprensione.

Ho più volte parlato di comunicazione empatica, che torna fondamentale anche qui, essendo l’unica forma di comunicazione che:

  • dà la chiara percezione di essere stati capiti, accettati e rispettati sia nei sentimenti che nelle idee;
  • ci aiuta ad approfondire la comunicazione;
  • abbassa le tensioni emotive, il senso di minaccia e libera dall’ansia;
  • aiuta ad accettare come naturali ed umani i propri sentimenti e dunque quelli degli altri.

Grazie all’empatia si riesce a entrare nel problema altrui e in questo modo si è sulla buona strada per la sua risoluzione. Tra le due parti si crea un rapporto di fiducia e di rispetto che consolida il rapporto.

L’ascolto attivo proposto da Thomas Gordon funziona perché aiuta chi ha il problema a scaricare le emozioni intense e ad elaborare il suo problema in vista di una soluzione.

Ma cos’è l’ascolto attivo?

L’ascolto attivo è l’abilità che meglio riassume le tre caratteristiche della relazione d’aiuto: empatia, accettazione, autenticità, per facilitare la soluzione del problema da parte della persona.

L’ascolto attivo richiede dunque il mettersi nei panni dell’altro cercando di cogliere i suoi pensieri e sentimenti, per poi esprimergli la nostra comprensione con calore e senza alcun giudizio.

La comunicazione efficace richiede, come abbiamo visto, molte attenzioni e tanta empatia. Io credo che l’empatia sia una forma di sensibilità, tuttavia gli esperti ci insegnano che si può imparare a coltivarla per migliorare le nostre relazioni e creare amicizie autentiche.

Se vuoi saperne di più leggi Perché comunicare con Empatia è uno strumento vincente: dai valore agli altri, valorizzi te stesso e crei fiducia e, se ti fa piacere, fammi sapere cosa ne pensi.

 

Testo di approfondimento:

  • Thomas GordonRelazioni efficaci. Come costruirle. Come non pregiudicarle, La Meridiana Edizioni, 2014

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Articolo di Luglio 2020
Revisione: Agosto 2021, Luglio 2024

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